Se qualcuno voleva una valida giustificazione per forzare la popolazione all’uso di bancomat e carte di credito, una scusa buona adesso c’è.
Se il contrasto al riciclaggio non fa presa sulla gente e ancor meno appetibile risulta la lotta all’evasione fiscale (attacco che molti cittadini privi di senso civico – ah. meraviglioso ossimoro! – reputano pari all’automutilazione), il rischio di trasmissione del coronavirus può incentivare il ricorso ai pagamenti elettronici.
Un paradosso? Niente affatto. Basta guardare quel che sta succedendo alla filiale di Guagzhou della Banca Centrale cinese, che è in assetto di guerra per procedere alla distruzione di carta moneta che potrebbe essere infetta e rappresentare seri problemi nella già incontenibile propagazione del micidiale COVID-19.
Il coronavirus potrebbe essere, infatti, veicolato dalle banconote, strumento di pagamento che storicamente veniva indicato come possibile vettore di malattie e infezioni per il loro naturale passare di mano in mano sooprattutto in condizioni igieniche non ottimali.
Fan Yifei, vicegovernatore della Banca Centrale del Popolo,ha dato ordine di procedere alla disintegrazione del denaro cartaceo proveniente da ospedali, mercati all’aperto, mezzi di trasporto e ogni altro contesto ad elevata esposizione a rischio di contaminazione. Naturalmente al macero finiscono le banconote malandate e per quelle “quasi nuove” viene tentato un recupero con procedure rigorose. L’operazione di pulizia del denaro si basa sul ricorso allo stoccaggio in ambienti portati ad alta temperatura oppure avviene con l’utilizzo di luce ultravioletta un po’ come siamo abituati a veder fare dal nostro dentista con le operazioni di sterilizzazione dei ferri chirurgici. A questa “ripulitura” fa seguito la conservazione per almeno quattordici giorni prima che le banconote tornino in circolazione.
Gli istituti di credito “commerciali”, dal canto loro, raccolgono dagli ambienti considerati “pericolosi” il denaro e – dopo averlo sottoposto ad una procedura di disinfezione – provvedono a depositarlo presso le strutture della Banca Centrale.
Contemporaneamente al rastrellamento della “carta infetta”, sono state emesse banconote nuove (in distribuzione proprio da oggi) per un importo di 600 miliardi di “yuan” (pari a poco meno di 80 miliardi di euro), quattro miliardi dei quali sono inviati a Wuhan per riavviare gli acquisti in loco.
Chi presenta “denaro vecchio” per averne di fresco di stampa deve naturalmente dare spiegazioni circa la legittima provenienza delle somme di cui ha disponibilità e che intende cambiare. E’ fin troppo ovvio che una simile circostanza non passa inosservata agli esponenti del crimine che possono approfittare del momento di caos e di rapida movimentazione di contante per dare una ripulita a proventi di attività illecita o semplicmente per ridurre l’ingombro nelle proprie casseforti di banconote di piccolo taglio.
Una severa azione di monitoraggio dei cambiavalute è immediatamente scattata in giro per il mondo anche se dalle nostre parti ancora poco se ne parla. La storia dl contante cinese passa in secondo piano quando – lungi dal fare inutili allarmismi – a Prato (come ha rappresentato il Presidente della Regione Toscana Enrico Rossi) stanno rientrando 2500 cinesi che erano andati in patria per il loro capodanno.
Non è il loro portafogli e il relativo contenuto a preoccupare, ma la gestione del loro arrivo imporrà l’adozione di iniziative che certo non potranno essere improvvisate. Se si è faticato a tenere la calma con gli sporadici casi sospetti finora toccati in sorte, come pensano le Autorità di organizzarsi?
Anche questa è sicurezza, “ça va sans dire”.