Sono cresciuto nell’erronea convinzione che nei casi di emergenza occorra snellire i processi decisionali. Un comandante, qualche stretto collaboratore con specifiche comprovate competenze, il coraggio di assumersi le responsabilità, la capacità di sopportare le conseguenze di eventuali errori.
Nelle condizioni di necessità e di urgenza un manipolo di soggetti deve capire, scegliere, decidere. Li si dovrebbe contare sulle dita di una mano, pochi, pochissimi, quasi fossero supereroi.
A dirla (o cantarla) con il mitologico Renzo Arbore, “meno siamo meglio stiamo”.
Nelle conclamate situazioni di allarme, invece, c’è ancora chi pensa di schierare battaglioni di esperti invece di limitare le convocazioni alle persone davvero strettamente necessarie.
Quando su WhatsApp mi è arrivata la notizia, ho subito pensato che si trattasse di una delle tante grottesche fake news che circolano nelle arterie digitali oppure di un simpatico “meme” destinato a diventare virale. Poi, guardando il mittente e avendo ben presente la sua inossidabile serietà, ho voluto sincerarmi se il distanziamento sociale lo avesse mai tramutato in un impenitente goliarda.
E’ bastato un attimo per scoprire che la storia dei 74 partecipanti al Gruppo di Lavoro era vera. Ci è voluto un quarto d’ora per riprendermi.
Sto parlando della “Task force dati per l’emergenza Covid-19” del Ministero dell’Innovazione, ripartita addirittura in otto “sottogruppi”: Coordinamento generale delle attività, Infrastrutture e data collection, Impatto economico, Web data e impatto socio-economico, Teleassistenza, Tecnologie per il governo dell’emergenza, Big data & AI for policies, Profili giuridici della gestione dei dati connessa all’emergenza.
L’affollato gruppo di lavoro si occupa delle “soluzioni tecnologiche data-driven, tenendo conto dei profili giuridici correlati alla gestione dei dati necessari a fronteggiare l’emergenza” e “svolge attività di studio e analisi, utile a supportare la Presidenza del Consiglio dei ministri e le Amministrazioni pubbliche nella definizione di politiche di contenimento del contagio da COVID-19”
Se 74 persone possono sembrarvi poche (?!?), va detto che il sito del dicastero precisa che “Alle attività del gruppo possono essere invitati a partecipare soggetti pubblici o privati al fine di acquisire informazioni, pareri o proposte”. E’ quindi ragionevole aspettarsi che ognuno dei “coscritti” possa invitare qualche collega, amico, conoscente o persona di fiducia a fornire il proprio contributo.
Pur istintivamente indisciplinato (nonostante collegio, Scuola Militare e Accademia), rispetto le regole e in questo periodo ho compilato diligentemente le quattro versioni dell’autodichiarazione per andare a fare la spesa (e ho già computer e stampante accesi in attesa della release 5.0). Conoscendo i decreti che si sono susseguiti secondo una posologia che ne prevedeva almeno uno prima dei pasti, mi chiedo se questo conclave sia in deroga alla norma che vieta gli assembramenti…
Come pensano di riunirsi? In videoconferenza? Auguri.
Quanto dovranno durare le assemblee al netto dei problemi tecnici, dei “non ho sentito” e “non ho capito”, delle immancabili interruzioni della connessione?
Se ogni convitato parla per un solo minuto, magari per salutare e dare segni di vita (di ‘sti tempi…), il meeting è destinato a portar via un’ora e un quarto senza combinare nulla. Qualcuno potrebbe non aver nulla da dire – sento già la critica d’obbligo – e allora mi chiedo cosa partecipa a fare? Per sentire gli altri? Potrebbe ascoltare il podcast. E poi se non ha nulla da dire perché è stato inserito nel Gruppo di lavoro?
Basta. Sotterriamo l’ascia di guerra.
Negli anni ho imparato che se non si vuole risolvere una questione – specie se spinosa – basta istituire un gruppo di lavoro. L’ho visto nelle diverse tappe della mia carriera nel pubblico e nel privato, con un campionario di esperienze a prova di qualsivoglia conato di smentita.
In tempi recenti ho osservato i gruppi di lavoro istituiti dal Ministero per lo Sviluppo Economico in materia di “blockchain” e di “intelligenza artificiale”. Avevo già pronti i link per facilitare il rintraccio dell’esito delle iniziative, ma mi sono sentito stringere dai panni di Maramaldo e ho visto il MISE nel ruolo di Ferruccio sussurrare il fatidico “tu uccidi un uomo morto”. Lascio al lettore più perfido il gusto di giocare con i motori di ricerca per scovare relazioni e slide (tra queste meritano le 6 – di cui una di copertina – dello stato di avanzamento dei lavori al 20 aprile 2019 linkato in fondo alla pagina web della Camera dei Deputati) e la libertà di valutare i risultati raggiunti.