Nemmeno le “scie chimiche” erano riuscite a seminare tanto panico.
La storia che il coronavirus sia causato dal 5G ha spiazzato tutti e innescato una pandemia di idiozie, rimbalzate da una casa all’altra grazie alla condivisione di video e documenti tanto sbalorditivi quanto inattendibili.
Le tecnologie di comunicazione di quinta generazione (ecco il significato della sigla misteriosa per i non addetti ai lavori) possono non essere simpatiche, ma i motivi per i quali sia giustificabile una profonda avversione non sono certo riconducibili al coronavirus.
Il 5G – che senza dubbio ha molto appeal sotto il profilo scientifico – può avere (e ha) controindicazioni tecnologiche ed economiche ma con la diffusione del COVID-19 è da escludere qualsivoglia responsabilità.
Il passaggio alle più moderne e veloci soluzioni di comunicazione digitale pone in condizione di sudditanza quei Paesi (come l’Italia) che non hanno avuto un ruolo di sviluppo e di produzione in quel settore, trovandosi ora a subire ogni diktat commerciale e tecnico.
I “padroni” di quelle tecnologie possono filtrare il traffico veicolato attraverso gli apparati di loro produzione, estrarne indebitamente il contenuto (audio, video e dati), possono “dossierare” chiunque senza lasciare traccia, hanno modo di girare l’immaginario “interruttore” che spegne ogni flusso di comunicazione, hanno indiscussa facoltà di paralizzare l’intero pianeta interrompendo il dialogo digitale che tiene in piedi le infrastrutture critiche (energia, TLC, trasporti, sanità e finanza). Ma queste “mostruose” entità non hanno colpe a proposito della nascita e della propagazione del coronavirus, nonostante una valanga di video cerchino di testimoniare la fondatezza dell’ennesimo complotto.
Filmati di sedicenti esperti, di personaggi “che me l’ha detto un amico che certe cose le sa”, di sadici torturatori della sensibilità dei meno “vaccinati” alle bufale multimediali, si sono ammonticchiati nei social media (da Youtube a Vimeo, a Dailymotion…) e hanno speditamente invaso i canali di messaggistica istantanea (WhatsApp, Telegram, Signal) ottenendo una preoccupante capillarità.
I messaggi – estremamente assertivi – proclamano una diretta connessione tra 5G e COVID-19 e fanno presa su chi, anziché cercare di informarsi in maniera “tradizionale”, si lascia trascinare dalla piena che sui social è frutto della tracimazione della stracolma diga della “disinformatia”.
Non si conoscono ancora i danni o le conseguenze nocive alla salute delle radiofrequenze del 5G, ma è certo che servirà tempo per studiarne i problemi, valutarne i rischi, trovarne sistemi contenitivi, ridurne la pericolosità… E comunque il 5G con il coronavirus – per dirla con Antonio Di Pietro – “che c’azzecca?”
Youtube ha messo al bando i video in cui si espongono le bizzarre teorie dei cospiratori a questo proposito, anche perché la diffusione di certe immagini ha scatenato attacchi vandalici ad impianti di telefonia mobile. L’assalto alle antenne delle BTS (le stazioni base, o ponti radio) è il primo risultato della reazione ipnotica di persone che hanno reagito in maniera violenta alle sollecitazioni di imprecisati predicatori del complotto hi-tech.
Si potrebbero portare mille esempi di farneticazioni online. Ma forse basta quella del tizio che sosteneva di essere un ex-dirigente di una compagnia telefonica britannica e che ha terrorizzato – prima che il suo video venisse rimosso – una infinità di utenti. L’inqualificabile soggetto (che naturalmente non corrisponde ad alcun manager – presente o passato – delle TLC del Regno Unito) ha vigorosamente sostenuto una serie di allucinanti falsità tra cui il fatto che i test del coronavirus erano utilizzati al mero scopo di diffondere il contagio e che la pandemia era stata creata per nascondere le morti determinate dagli effetti della tecnologia mobile.
Le incursioni – che, oltre Manica, hanno portato alla devastazione di quattro strutture trasmissive di Vodafone nel giro di ventiquattr’ore – potrebbero essere solo l’inizio di una serie di azioni sconsiderate, innescate dalla irrefrenabile condivisione di file multimediali frutto di menti criminali con l’obiettivo di destabilizzare equilibri psicologici e sociali già sufficientemente compromessi.
Sarebbe meglio se la gente si preoccupasse di respirare, non di cospirare.