Capisco che l’emergenza COVID-19 imponga un impegno prioritario. Del problema sanitario, però, credo debbano occuparsene (per il bene di tutti) più i medici che i politici.
In questo momento, in cui pur di guadagnare una ribalta tutti sono pronti a rilasciare dichiarazioni esorbitanti le proprie competenze, ognuno dovrebbe preoccuparsi di far bene il proprio mestiere (sempre che lo sappia fare).
Il periodo catastrofico che stiamo vivendo vede in pericolo tre cose, due delle quali – salute ed economia – estremamente evidenti.
La terza è la democrazia, nella cui dimensione si riconoscono i diritti fondamentali dei cittadini dalla libertà alla riservatezza dei dati personali.
Tralasciando qualsivoglia volo pindarico di matrice filosofica, voglio soffermarmi sulla questione della privacy e della sicurezza della tanto diffusa ed altrettanto utilizzata “app” ZOOM.
Dopo aver lanciato proprio qui l’allarme sulla pericolosità di quel programmino di videoconferenza, aver spiegato che mandava a Facebook anche i dati di chi non si era mai iscritto a quel social, aver persino raccontato della riunione via Zoom interrotta da filmati porno che hanno preso il posto dei convenuti, mi sono lasciato travolgere dalla curiosità di sapere cosa pensino di tutto questo gli attori principali di questo Paese.
La capillarità di impiego di ZOOM, sia nel pubblico sia nel privato, evidenzia problematiche non trascurabili e quindi credo sia lecito domandarsi quale sia l’opinione e quali siano le iniziative del Governo, delle strutture di intelligence e del Garante per la Protezione dei dati personali.
Ho provato a cercare qualcosa sul sito web di quest’ultima Autorità, avendo cura di procedere con la “ricerca avanza”, inserendo la parola ZOOM nell’apposito riquadro per il testo da cercare e restringendo l’arco temporale al periodo che va dal 1° marzo alla data odierna (ossia all’intervallo in cui si è parlato di possibili rischi che in precedenza non erano stati rilevati da nessuno). Purtroppo mi sono dovuto accontentare del laconico messaggio “Nessun risultato trovato”
La bramosia di saperne di più mi ha portato a consultare i siti delle due ali del Parlemento, sperando che qualcuno avesse mai formulato interrogazioni o interpellanze in proposito vista la attualità e la gravità del rischio.
Se non ho trovato nulla al Senato, sul web della Camera dei Deputati l’unico documento che contiene la parola “zoom” è il resoconto stenografico del 31 maggio 2019 per l’interpellanza urgente dell’onorevole Rampelli ed altri n° 2-00289 in cui si legge “Ma questo di Alitalia Maintenance Systems è soltanto uno zoom su una situazione più generale…” che ovviamente non ha nulla a che fare con il tema di interesse.
Non azzardandomi a visitare il sito dei Servizi Segreti (che per tenere fede all’aggettivo non possono certo svelare nulla in Rete), ho optato per quello della Presidenza del Consiglio e anche lì il mio tentativo è stato vano.
Il girovagare online mi ha invece portato a scoprire che il Governo di Taiwan ha vietato l’uso della applicazione in argomento dopo la sconfortante scoperta che l’applicazione dirottava in Cina i contenuti delle video-riunioni.
Ho poi appreso che i senatori statunitensi Richard Blumenthal, Marsha Blackburn e Ron Wyden (con il supporto di organizzazioni per i diritti civili come l’Electronic Privacy Information Center) hanno formalmente manifestato le loro perplessità, invitando la Federal Trade Commission (FTC, vale a dire l’equivalente della nostra Autorità Antitrust) ad effettuare verifiche e approfondimenti.
Quando ho visto che anche il Procuratore Generale di New York ha aperto una indagine in proposito, ho deciso di non andare oltre e di accontentarmi delle faccende di casa nostra.
Zoom – diffuso nelle scuole per le lezioni a distanza e nel mondo imprenditoriali per le riunioni aziendali – viene adoperato anche in ambito istituzionale? Se sì, da chi?
Visto che la app – manco fosse uno sturalavandino – risucchia tutto quello che c’è sul dispositivo dell’utente, sono state redatte delle raccomandazioni per evitare una “trasparenza” che certo non è quella della “241”?
E se esistono consigli e disposizioni a garanzia della privacy del singolo e della sicurezza di tutti, perché non le si rendono pubbliche?
Vista la dimostrata facilità di diffusione di versioni non ufficiali di provvedimenti restrittivi, perché quella “manina” non mette in circolazione anche qualcosa di utile per la collettività?
Oppure, e sarebbe meglio, perché non si risponde al titolo deliberatamente provocatorio di questo editoriale?