Stavo preoccupandomi per il futuro del nostro Paese quando – d’un tratto – ho pensato di essere in ottime mani.
Soprattutto alcuni dubbi si sono trasformati in certezze, depurando l’atmosfera da quel fastidioso senso di indeterminatezza.
Se prima avevo timore di non trovare le mascherine, adesso che sono state calmierate a 50 centesimi più IVA ho l’assoluta garanzia di non poterle più comprare. Capisco i negozianti, quelli che se ne sono riforniti “a strozzo” da produttori e grossisti che avrebbero dato l’impressione (ma forse è solo una mia percezione) di aver voluto approfittare del momento “favorevole” tra domanda e offerta.
Non c’è bisogno di aver studiato – come il Super Commissario Arcuri ha fatto – i metodi FIFO e LIFO per conoscere le dinamiche di magazzino, ma forse basta un po’ di buon senso per capire la ritrosia a vendere in perdita. Anziché minacciare i farmacisti e sbandierare la carta delle tabaccherie, forse valeva la pena intervenire subito (magari il 19 marzo, giorno successivo alla nomina) sulla catena produttiva con la definizione delle procedure industriali (standard, conformità a norma…) e di commercializzazione. Poi si poteva procedere con un piano di attivazione sistematica di controlli da parte della Guardia di Finanza (invece di far pattugliare le strade o bersagliare attività morenti), con il preciso obiettivo di appurare le evidenti “manovre speculative” o l’occultamento, l’accaparramento o l’incetta di prodotti di prima necessità “in modo atto a determinare la rarefazione o il rincaro sul mercato interno”, fattispecie punita dall’articolo dall’articolo 501 bis del codice penale.
Sarebbe stato bello conoscere la road map (come dicono gli eruditi anglofoni) o semplicemente il piano di lavoro di chi è stato chiamato a gestire l’emergenza. Non è una pretesa strana o impossibile, visto che Arcuri è affiancato da una task force di ben 39 mega-esperti tutti caratterizzati da spiccate e invidiabili qualità professionali. Un programma – fatto di obiettivi, azioni, scadenze – avrebbe diradato la nebbia che ha avvolto la popolazione in una lattea Val Padana del non poter sapere.
Abbiamo invece assistito al penoso susseguirsi di furbetti – più o meno noti alla collettività – che hanno addirittura creato società ad hoc per fare business sulla pelle della gente.
Ci è toccato in sorte di scoprire forniture “ufficiali” di dispositivi di protezione tutt’altro che idonei e mille altri episodi caratterizzano il cattivo stato di salute (non sanitaria) di questa Italia.
Siamo persino stati costretti a vedere lettere commendatizie inoltrate dal Super Commissario ad interlocutori istituzionali (ad esempio il Direttore dell’Agenzia delle Dogane, il “carissimo Marcello” Minenna) con indicazioni strategiche non meglio definite che magari avrebbero potuto essere inserite nella famosa “road map” di qualche riga fa e che non hanno trovato spiegazione nemmeno dinanzi alle domande di una inossidabile giornalista fermamente convinta che il diritto di cronaca e che la trasparenza amministrativa fossero alla base della democrazia.
Il cittadino qualunque vorrebbe sapere da Arcuri che affettuosamente – per il tono marziale e il piglio militaresco finora mostrati – identifica come novello Napoleone, se ci si trovi nei pressi di Mont Saint-Jean e se il calendario segni inesorabilmente il 18 giugno 1815. Una nuova Waterloo punirebbe non solo il generale al comando…
L’italiano medio è terribilmente curioso.
Si domanda e si arrovella per sapere anche cosa ha fatto l’Ammiraglio a capo del vascello che – dalle acque britanniche – volge la prua per salvare la nostra Patria. Il fatto che sia rimasto all’ancora nel sicuro porto di Londra, sulle rive del Tamigi, comprova che l’emulo di Sir Francis Drake non ha bisogno di tornare tra noi per risolvere i problemi di un’economia agonizzante. Lo “smart working” serve anche a questo.
Ad un mese dal varo del brigantino con una impavida ciurma di 17 formidabili personaggi, viene da chieder conto della gestione della fase 2 di cui Vittorio Colao doveva prendersi cura.
Probabilmente si troveranno le risposte nel “Decreto Aprile” (come le vendemmie, “tardivo”) che continua a tenere tutti con il fiato sospeso in una apnea che sta portando ad una inevitabile asfissia…
La fretta di uscire da questa catastrofica situazione si fa sempre più forte e il rischio di embolia economica è dietro l’angolo. E non ci saranno camere iperbariche a salvarci.