Non “uomo di rispetto”, o ancor peggio “uomo d’onore”. Semplicemente persona che merita rispetto.
Sentirselo dire emoziona e costringe a fermare per un attimo i mille pensieri che abitualmente frullano per la mente. Il “tweet” di Anonymous mi ha incuriosito e probabilmente non ha lasciato indifferente tanta altra gente.
Ho fatto lo “sbirro” per parecchi anni, ottenendo persino l’appellativo di “sceriffo del Web”. Dal mio lavoro ho ricevuto tante soddisfazioni, amplificate dal non aver mai “barato” e dall’aver affrontato in maniera sportiva tutte le partite che la vita – professionale e non – mi ha riservato.
Nessun doppio gioco, nessun trucco, nessun “trojan” o altro artifizio. Questo probabilmente mi ha fatto guadagnare il rispetto da parte dei miei avversari, consci del reciproco ruolo in quella tanto acerrima quanto divertente sfida tra “guardie” e “ladri”.
Sono stato costretto a congedarmi prima di arrivare a compiere 53 anni (e dopo aver cominciato a vestire una uniforme a soli 16), probabilmente colpevole di aver fatto quella dannata indagine sulle slot machine che portò a riconoscere oltre 90 miliardi di euro di danno all’Erario e che venne mortificata da un sistema politico che fece di tutto per minimizzare l’accaduto e polverizzare la somma da incassare.
Me ne sono andato senza essere nemmeno salutato dai miei superiori. Mi sono evitato certe farisaiche cerimonie di commiato, ma forse il “rispetto” per chi ha servito il suo Paese per 37 anni non c’è stato. A parte le affettuose e perenni manifestazioni di stima dei miei ragazzi del GAT (il glorioso ed insuperato Gruppo Anticrimine Tecnologico ormai in naftalina) e dei miei amici fuori dalla GdF, in quei tristissimi giorni mi commosse il commento sui social di un ragazzo che era stato mio “cliente”. Lui – che “per colpa mia” aveva dovuto patteggiare 15 mesi di reclusione per la famosa intrusione sui web di Pentagono, NASA & C. – esprimeva il suo sincero dispiacere per la mia uscita “anticipata” dalle fiamme gialle. Le parole di quel “giovanotto”, oggi affermatissimo manager negli Stati Uniti, forse anticipavano il tweet di questi giorni.
Oscar Wilde diceva di scegliere i suoi nemici per l’intelligenza. Non ho mai potuto prediligere o optare per un avversario, ma ho duellato con quelli che mi sono toccati in sorte e ho avuto la fortuna di trovarne di bravissimi. Devo a loro la spinta a migliorare, a non arrendermi mai, a cimentarmi nelle sfide impossibili.
Improvvisandomi antropologo della civiltà digitale, ho sempre cercato di capire le motivazioni alla radice di certe loro iniziative. Quando ne ho avuto l’occasione ho utilizzato i mezzi di informazione per cercare di far capire loro che anche le più consolidate ragioni e i più nobili ideali devono fare i conti con la legge e soprattutto non possono non considerare le eventuali vittime innocenti.
Un attacco informatico può, ad esempio, fermare le ferrovie e sputtanare tecnici e manager che gestiscono i sistemi presi di mira, ma alla fine mette in difficoltà pendolari e viaggiatori. L’assalto telematico ad una struttura ospedaliera può avere conseguenze tutt’altro che virtuali e non è la maniera migliore per richiamare l’attenzione sulla cyber security e sulla sua naturale priorità.
Non mi stancherò di rammentare a quelli che sono stati i miei avversari di evitare pubblicazione dei dati sottratti per il “rispetto” delle persone cui quelle informazioni si riferiscono.
Non sono “uno dei pochi a cui portare rispetto” perché tanti ne sono meritevoli.