E’ più forte di me. Devo dire e scrivere quel che penso, consapevole che – ogni volta che evito un cauto silenzio, perdo amici e conoscenti che non contemplano la possibilità di non esser d’accordo su questa o quella questione.
Una giovane ufficiale di Marina, qualche giorno fa, ha pensato di chiudere simpaticamente il percorso che aveva portato i volontari in ferma prefissata (VFP) al loro solenne giuramento a porte chiuse inscenando un curioso (e purtroppo mal riuscito) incrocio tra un “military tatoo” e un più “laico” flashmob.
Mentre quest’ultimo genere di manifestazione è noto ai più, ritengo d’obbligo spiegare ai “militesenti” cosa sono i “tatoo” cui ho appena fatto cenno.
Chi ha poca dimestichezza con “le cose dei soldati” deve sapere che sono esibizioni di reparti di forze armate che si muovono a ritmo di musica (non necessariamente dai toni marziali) disegnando figure coreografiche che esaltano la perfezione del loro addestramento e la sincronizzazione più incredibile.
La terminologia non è legata alle decorazioni epidermiche con cui molta gente istoria la propria cute con fantasiose policromie o forme geometriche tribali, ma trova radice nell’ultrasecolare espressione olandese “doe den tap toe”, l’ordine – impartito da tamburini e trombettieri agli osti e ai locandieri nelle zone in cui avevano sede le caserme – di “chiudere i rubinetti” delle spine delle botti di birra così da costringere i militari a tornare nei rispettivi comprensori.
I “tatoo” sono addirittura oggetto di un campionato mondiale che ogni anno si tiene ad Edimburgo, manifestazione dove difficilmente la performance tarantina avrebbe potuto sperare di entrare in graduatoria. Da piccolo (andiamo indietro al 1983) sognavo di portarci i miei ragazzi della IX compagnia del battaglione allievi finanzieri di Portoferraio ma non ce ne fu possibilità.
Certe “performance” (mirate ad alleggerire le attività di “marcia in ordine chiuso” e a creare spirito di appartenenza ad una squadra capace di cose non alla portata delle altre) vennero considerate semplici “stranezze” (i miei superiori forse non sapevano nemmeno dove fosse Edimburgo) e contribuirono a farmi meritare “inferiore alla media” nelle valutazioni delle cosiddette “note caratteristiche” che accompagnano la carriera di chi veste una divisa.
La tenente di vascello – non immaginando che qualcuno, che non le voleva bene, potesse filmare e poi sbattere in rete il video – ha creduto di emulare il lancio dei cappelli al cielo che chiude analoghe cerimonie a West Point (circostanza che, almeno che io sappia, non ha mai portato nessuno ad esser punito per “uniforme in disordine”).
Comprendo il disappunto di chi ritiene inopportuna l’esibizione (imputabile alla giovane comandante) e ancor più la sua diffusione online (la cui responsabilità non sarebbe difficile accertare visto che l’evento si è svolto in presenza di poche identificabili persone), ma sento il dovere di invocare la proporzionalità delle sanzioni partendo dal classificare “veniale” il peccato in questione.
Sono convinto (e credo di esser in buona compagnia) che quest’anno abbiano disonorato la Marina le tangenti sugli appalti per l’ammodernamento delle navi militari (che a febbraio scorso hanno scosso Taranto probabilmente più della recente esibizione danzante) o il caso venuto a galla a giugno 2020 di contrabbando di sigarette e di Cialis imbarcati a Tripoli sulla nave Caprera nell’ambito dell’operazione Mare Sicuro per il potenziamento del contrasto all’emigrazione clandestina verso l’Italia.
In quelle occasioni, però, non ho visto scandalizzate dichiarazioni dell’Ammiraglio De Felice o di altri suoi colleghi che oggi – inesorabili – fanno pollice verso auspicando esemplare condanna della giovane collega, colpevole soprattutto di aver sottovalutato la velenosità dell’ambiente in cui presta servizio.
Il disonore è quello che – magari in maniera silenziosa – ogni giorno si compie non facendo il proprio dovere, accettando compromessi per non veder lesa la propria carriera a dispetto dei solenni giuramenti di fedeltà, premiando chi non se lo merita solo perché è raccomandato e danneggiando – al contempo – chi avrebbe dovuto avere quella promozione o quell’incarico, cercando di trarre profitto dalla propria posizione o dal proprio ruolo, privilegiando l’applicazione di valori che collidono con quelli che dovrebbero caratterizzare un servitore della Patria e non di questo o quel politico indiscutibilmente utile.
La si punisca la Tenente di vascello.
La si costringa a vedere 100 volte il patetico balletto: sarà lei ad implorare una pena alternativa…
🙂