Nonostante la mia serena convinzione che il colosso di Jeff Bezos abbia ucciso il nostro commercio tradizionale e decretato un salto di passo di cui forse si poteva fare a meno, stavolta i dardi non vengono dalla mia faretra.
Mentre nessuno potrà convincermi che non sia possibile riuscire a vivere tre o quattro giorni senza un prodotto che il negoziante sotto casa al momento non ha (e che quindi Amazon sia la nostra salvezza), ho letto con attenzione lo studio dell’Open Markets Institute e sono convinto che anche altri potrebbero trarre giovamento da un simile approfondimento (che secondo tradizione di Infosec News è qui disponibile in formato pdf per chi lo voglia consultare).
E’ fuori di dubbio che Amazon vanti una efficienza straordinaria, sbalorditiva, destinata a passare alla storia. Tra qualche migliaio di anni ci sarà chi – al nostro pari dinanzi all’imponenza delle Piramidi – si chiederà come siano riusciti in una così smisurata opera.
Il documento, redatto da un “think tank” che – oltre a fare ricerche e studi – si erge a difesa dei più deboli prendendo di mira realtà mastodontiche come Google e Facebook, evidenzia situazioni che non lasciano indifferenti. La celerità e la precisione che fanno spiccare Amazon come un modello ideale contrastano – secondo il report firmato da Daniel A. Hanley e Sally Hubbard – con un “dietro le quinte” non proprio rassicurante.
Il documento “Eyes Everywhere: Amazon’s Surveillance Infrastructure and Revitalizing Worker Power” già nel titolo parla di “occhi dappertutto” e non fa mistero dell’estremizzazione della sorveglianza e di un clima di stress difficilmente sostenibile.
Il report sottolinea – tra l’altro – che Amazon imporrebbe ai propri lavoratori di lasciar fuori tutti i loro effetti personali tranne una bottiglia d’acqua e un sacchetto di plastica trasparente contenente denaro.
Il livello di controllo quasi distopico sui magazzinieri culminerebbe nel licenziamento di chi non riesce a raggiungere obiettivi che spesso vengono tenuti segreti. Nella trentina di pagine di testo si legge che ai lavoratori viene imposto di raggiungere un certo numero di pacchi da elaborare all’ora, anche se non viene detto loro quale sia esattamente tale obiettivo.
E’ spaventoso apprendere che i dipendenti di Amazon non conoscano in anticipo il “target” da raggiungere e che la sua variazione possa avvenire in corso d’opera e quindi essere oggetto solo di segnalazione successiva. In questo modo anche chi è velocissimo nelle operazioni di diretta competenza rischia di ricevere l’ “avvertimento” che l’asticella è stata alzata solo quando è venuto meno alle prestazioni che erano state immaginate per lui/lei e per le relative capacità prestazionali.
Il sistema elettronico di controllo di Amazon analizzerebbe le misure di produttività di ciascun lavoratore basandosi sul rendimento più elevato fornito in un determinato periodo. Se poi, per qualunque motivo, la persona si ritrova a scendere al di sotto di quel livello, il sistema in maniera automatico rileva la situazione, genera immediatamente gli avvisi e innesca l’adozione di provvedimenti “correttivi” (che possono sfociare nell’allontanamento del tizio che è sceso sotto il proprio “record personale”).
Chi effettua il prelievo e il confezionamento di un prodotto deve servirsi di uno scanner che non si limita a “smarcare” l’uscita da magazzino per procedere al suo rimpiazzo con nuova fornitura, ma registra ogni dettaglio delle operazioni compiute (come ad esempio l’intervallo di tempo intercorso tra una scansione del codice a barre presente sulla merce e quella successiva).
Le telecamere di sorveglianze sono presenti in tante realtà produttive e spesso si rivelano di grande aiuto per garantire la sicurezza e consentire un intervento tempestivo in caso di incidente. In questo caso, però, nel rapporto si legge che dispositivi di ripresa video tracciano e controllano ogni mossa di un lavoratore.
Se si va a guardare chi provvede alle consegne, a sbarrare gli occhi sbalordito potrebbe essere George Orwell resuscitato per l’occasione. Amazon registra costantemente la posizione dei veicoli e l’azione di monitoraggio mira a pedinare il mezzo per avere certezza che venga seguito il percorso esatto che è stato stabilito e mappato a livello centrale. Pur di rispettare tempi e numeri i conducenti rispettano meno facilmente il codice della strada e l’aumento degli incidenti testimonia il disperato tentativo – per il trasportatore – di rimanere in gioco.
Il rapporto spiega che lo stesso software di monitoraggio garantisce che i lavoratori abbiano diritto solo a 30 minuti per il pranzo e a due pause separate di 15 minuti durante il giorno. Ma non finisce qui.
Il “braccialetto” – da cui i dipendenti non possono certo separarsi – può tracciare con precisione dove i dipendenti del magazzino stanno mettendo le mani e utilizzare le vibrazioni per spingerli in una direzione diversa.
Inutile dire che – secondo Open Markets Institute – Amazon contrasta gli sforzi di sindacalizzazione, monitorando attivamente i lavoratori, interrompendo eventuali riunioni di troppe persone (certo non per il “distanziamento sociale” o per il “divieto di assembramento”), identificando possibili organizzatori sindacali e controllandone gli spostamenti nelle aree di lavoro per evitare che parlino troppo a lungo con lo stesso gruppo.
Il report parla inoltre di procedure disumanizzanti, quasi i dipendenti fossero degli automi. Non bastasse, a fine turno i dipendenti sarebbero sottoposti a controlli volti a verificare che non abbiano rubato nulla. Mortificazione a parte (anche per le telecamere che a questo punto non farebbero il loro mestiere….), il lavoratore deve mettere in conto da 25 minuti ad un’ora (naturalmente non retribuiti) per poter uscire dall’infrastruttura aziendale.
Sicuramente Amazon saprà spiegare e motivare l’eventuale infondatezza del report “Eyes Everywhere” e il nostro spazio “Un messaggio in bottiglia” è pronto ad ospitare qualsivoglia replica. Tranquilli, non cronometreremo il tempo di risposta…