Dopo la storia dei 10 terabyte di dati riservati rubati grazie ad un malware confezionato da un informatico interno, arriva un’altra testimonianza della “modernità” di certi dirigenti dell’ex Finmeccanica.
Mentre nel resto del mondo la corruzione si manifesta ancora con modalità “tradizionali”, alcuni dipendenti di Leonardo hanno saputo dar prova di una straordinaria proiezione verso il futuro.
Anticipando la stagione del lockdown e dello smartworking, forse presagendo periodi in cui i contatti umani si sarebbero polverizzati con il distanziamento sociale, dieci uomini inquadrati nei ranghi dell’orgoglio industriale del Paese sono riusciti a virtualizzare in modo geniale (e criminale) persino le dinamiche con cui trarre illecito profitto dal proprio comportamento anti-aziendale.
Niente più incontri in luoghi affollati (ci sarebbe l’aggravante dell’assembramento), niente più mazzette infilate nelle mutande (le procedure di igienizzazione che fine farebbero?): chi doveva farsi pagare “il disturbo” per aver indebitamente agevolato forniture e contribuito all’assegnazione di appalti per importi superiori al dovuto, ha avuto l’intuizione di scegliere (o semplicemente di accettare la soluzione proposta dal corruttore) un pagamento al passo con i tempi.
Prima ancora che il Governo promuovesse il cashback e lanciasse lo slogan “usa carte di credito e debito e app per il pagamento: guadagni, vinci e cambi il Paese”, i manager di Leonardo avevano già ingegnerizzato un sistema adeguatamente futuribile. Dovendosi accontentare delle applicazioni di pagamento digitale esistenti (la app IO ancora non c’era e mancava l’offerta di soluzioni oggi invece disponibili) i dirigenti hanno optato per Google Pay per gestire le “stecche” o mazzette che dir si voglia.
L’innovazione estrema, però, non ha trascurato anche un doveroso rispetto delle storiche consuetudini, delle usanze che caratterizzano il folclore del malaffare diffuso sul territorio tricolore. Il cospicuo giro di mazzette – forse in ossequio alla “diversificazione” delle attività finanziarie spesso suggerito anche dai più solerti funzionari bancari – ha preso la forma (come scrive l’ANSA) di “compensi extra o mensili o annuali, provvigioni «fuori sacco» sui contratti aggiudicati e regalie come buoni carburante o da spendere in negozi di computer, telefonia, tv e elettrodomestici, e poi oggetti di valore apprezzabile come penne di marca”.
Come nel caso del famoso o famigerato “hackeraggio”, anche qui Leonardo è vittima e parte lesa e collabora alle indagini.
Come nell’altra vicenda, questa storia parte dal 2015 ed è andata avanti per anni, durante i quali i protagonisti hanno rivelato informazioni riservate o truccato i bandi gara agevolando il fornitore Trans Part, società di intermediazione nella distribuzione di materiali ed equipaggiamenti destinati ai più diversi settori, da quello militare a quello aerospaziale, dai trasporti fino al petrolchimico.
Sarebbe bello sapere se i manager in questione hanno percepito “premi” ed “incentivi” nello stesso periodo in cui il loro impegno era condizionato dall’eccessiva familiarità con Trans Part. Sarebbe bello sapere cosa ne pensano gli altri dipendenti capaci e perbene che certi riconoscimenti li avrebbero meritati e invece li hanno visti attribuire ai “birbaccioni innovativi”.