Ci sono episodi che descrivono una certa nostra Italia meglio di quanto non abbia fatto Alberto Sordi in tante sue opere cinematografiche.
La scena dell’incontro dell’uomo dei Servizi Segreti con il leader di partito è solo un fotogramma del lungo film della vita quotidiana che caratterizza un Paese terzomondista.
Non ci si stupisca più di tanto e soprattutto la si smetta (e pure in fretta) di far finta di esser sbalorditi.
Ci si guardi attorno. Persino quelli che strillavano a squarciagola “Onestà, onestà!” sono stati capaci di dar luogo a concrete manifestazioni di poca coerenza con la tanto declamata elevazione della meritocrazia a regola imprescindibile.
Dalle nostre parti non va avanti chi è più bravo, anche perché spesso chi è maggiormente dotato viene tenuto alla larga con l’eufemismo “sì, d’accordo, ma è difficile da gestire…”.
La strada si spalanca solo a chi è “sponsorizzato”, termine garbato per etichettare chi gode della benevolenza del potente che si prodiga per il lui/lei di turno nella certezza di poter contare su futura gratitudine e magari obbedienza.
Le anticamere dei “promotori” sono sempre affollatissime e spesso sono il principio genetico che dà il via a correnti, coalizioni, bande. Chi intraprende simili percorsi perde l’indipendenza e, inutile nasconderlo, anche la dignità perché la genuflessione dinanzi a “chi può” è sempre virtualmente sui ceci.
Purtroppo se si vuole raggiungere un obiettivo, anche se questo sarebbe ragionevolmente a portata di mano, tocca ingoiare il rospo scagionando (o credendo di scagionare) il proprio prostrarsi raccontando (persino a se stessi) che – machiavellicamente – il fine giustifica i mezzi.
Chi non si piega dinanzi a queste regole ha due opportunità: accettare cristianamente la mutilazione delle proprie legittime aspettative oppure cercare di giocare ugualmente la partita nella consapevolezza che quando si sta per segnare qualcuno porterà via il pallone dicendo che è il suo…
La benedizione apostolica del politico taumaturgico è priva di garanzie. A chi vende (o, siamo buoni, affitta o dichiara disponibile) la propria anima non spetta il “soddisfatto o rimborsato”. Il politico può non essere di parola, può promettere anche quel che esorbita dalle proprie possibilità, può cadere in disgrazia e trascinare con sé chi non avrebbe mai immaginato l’eclissi del suo onnipotente astro.
Vale per chi ha ambizioni nelle Forze Armate, nella Magistratura, nei Ministeri, negli Enti Pubblici, nelle Società Partecipate dallo Stato, nella RAI. La cronaca non manca certo di esempi.
Chi conosce quegli ambienti ha visto ascese verticali di incapaci in ossequio alla più bieca lottizzazione e ha imparato il termine “in quota” che segue il nome e cognome di tanti come il Ph.D. quello di chi ha inteso conseguire l’apice dei riconoscimenti scolastici.
“In quota X o in quota Y” (dove in luogo delle lettere maiuscole vanno lette le sigle dei partiti) è il refrain che accompagna la composizione dei Consigli di Amministrazione o l’organigramma delle tante (troppe) realtà in cui le competenze valgono meno di una buona raccomandazione o di un patto col diavolo.
Se ci improvvisiamo tutti “inviati speciali”, con i video di certi appuntamenti ci si potrebbe riempire YouTube. Magari si riuscirebbe a dar vita ad una intrigante cartografia di “chi è amico di chi” e privare la collettività dell’involontario “piercing sociale”: ci si toglierebbe finalmente l’anello al naso, trovando spiegazione a quelle che non sono stranezze ma la normalità.
Una normalità che non ci appartiene, o che almeno non può essere supinamente considerata tale.