Mentre si impegnano tutti a dissertare di strategie militari, disegnando scenari bellici convenzionali e cercando di ipotizzare le manovre di un pazzo che – per il suo palese annebbiamento cerebrale – sono fin troppo imprevedibili, nessuno si sforza di formulare congetture alternative per ribaltare l’incresciosa situazione.
E’ fin troppo chiaro che solo la popolazione russa può fermare la Russia dal proseguire uno sterminio destinato a tramutare la nefasta epopea nazista in un patinato ricordo di resort elioterapici.
Putin, a dispetto di chi lo dichiarava un invidiabile leader esemplare e lungimirante e ne portava orgoglioso il volto sulla t-shirt, non apprezza un gran che chi è in disaccordo e ha persino paura che i funerali dei soldati uccisi in combattimento possano incrinare la fiducia dei cittadini nella sua crociata della “Operazione Speciale”.
Il timore dello “Zar Vladimir” è la contaminazione della consapevolezza e la manifestazione massiva dei suoi sintomi. Prevenzione e vaccinazione contro il “virus della verità” sono in corso da tempo e a dirigere tali attività sono stati messi professionisti ben più pericolosi del pilota di un cacciabombardiere o dell’ufficiale di artiglieria missilistica.
Sul fronte dei buoni – ostili ma non belligeranti – nessuno ha messo a fuoco la cosiddetta “information warfare” ovvero la guerra dell’informazione.
Poco peso poi è stato dato al fatto che la gente di quel Paese non è più quella dell’Unione Sovietica. E’ molto più “consumista” che “comunista”, nel pieno rispetto della veggenza di PierPaolo Pasolini.
Le nuove generazioni sono cresciute in un clima molto più liberale rispetto a quello respirato da genitori e nonni. Dai tenaci combattenti in Afghanistan si è passati agli spensierati vagabondi dello shopping nei centri commerciali sicuramente poco marxisti o leninisti. Rigore e sacrificio sono rapidamente passati di moda, dissolvendosi l’abitudine ad attenervisi o addirittura svanendo il semplice ricordo del “come si faceva”.
E’ su questo fronte che il “Generale McDonald” riesce a bersagliare la Russia senza lanciare missili o far esplodere ordigni. La chiusura degli 850 punti di ristorazione e la sospensione del rapporto di lavoro dei suoi 62mila dipendenti hanno inferto un sorta di uppercut a chi sul ring del conflitto riteneva di ammortizzare qualunque colpo.
Non è lo stop ai beni di lusso di cui gli oligarchi – tutti in possesso di mezza dozzina di passaporti di comodo – riusciranno comunque a disporre alla faccia di qualsivoglia embargo. Qui si salta dall’embargo all’hamburger e i destinatari di questa mossa di basso cabotaggio sono più numerosi e appestanti in una auspicabile epidemia di malcontento nei confronti del regime di Mosca e delle scellerate scelte del Cremlino.
In realtà l’obiettivo per raggiungere le condizioni basilari di qualsivoglia accordo può essere perseguito solo scatenenando una massiccia guerra dell’informazione, unico combattimento che – senza spargimenti di sangue – può far franare il consenso nazionale di Putin e frenare ulteriori mosse.
L’information warfare è una costola della cyberwar, anche se non sembra che l’Agenzia di recente costituzione ne abbia cognizione e ne abbia ricevuto competenza ad occuparsene, a comprova dell’insanabile immaturità strategica italiana.
“Combattere con le informazioni” era il titolo di un pregevole libro scritto da Ferrante e Margherita Pierantoni e pubblicato nel 1998. L’ingegner Pierantoni, figura geniale al cui fianco ho avuto la fortuna di lavorare all’Autorità per l’Informatica nella P.A., già agli inizi degli anni Ottanta prefigurava scenari come quelli che stiamo vivendo. Classe 1933, strappatoci via dieci anni orsono, conosceva le viscere di Internet ed ogni sfaccettatura dell’antropologia telematica.
La sua visione del gioco non ha trovato un frazionista capace di continuare la staffetta, non perché mancassero “atleti” pronti a ben figurare ma piuttosto per il declino della politica che ha portato a scartare talenti di pregio perché tutt’altro che mansueti e magari poco avvezzi a compromessi o all’esecuzione di ordini insensati.
Rileggere quel che scriveva Pierantoni consente di apprezzare una modernità di pensiero che manca all’intera compagine di Governo e forse porta ad intravedere percorsi alternativi a quelli finora presi in esame.
Rispolverare un testo di storia di terza media, invece, darebbe l’opportunità di ricordare il “folle volo”. Parliamo del raid aereo del 9 agosto 1918, la trasvolata dei biplani che – gli equipaggi ispirati da Gabriele D’Annunzio – lanciarono migliaia di manifestini tricolori su cui era stampata una provocatoria esortazione a porre fine agli scontri militari.
Non c’è bisogno di decollare alla volta della Russia, ma occorre muovere su due direttive. Perforare la corazza della “propaganda” del Cremlino e arrivare sui display degli smartphone e sugli schermi dei computer della popolazione russa.
Se non si sa da che parte cominciare, ci si lasci guidare da eventi trascorsi. Un quarto di secolo fa, proprio in questi giorni (era il 17 marzo 1997) un gruppo di pirati dell’etere riuscì in una magistrale interferenza nella prima rete televisiva RAI inserendosi fraudolentemente nel TG1 che stava andando in diretta. Un messaggio inneggiante alla “Padania libera” entrato inaspettatamente nelle case dimostrò la vulnerabilità dell’architettura trasmissiva lasciando tutti di stucco…
La missione deve portare a togliere la benda dagli occhi e i tappi dalle orecchie alla gente, inoculare il bacillo del dubbio e poi scatenare la pandemia della verità sulla cosiddetta “Operazione Speciale”.
Saranno gli stessi russi a dire no ad una guerra che nemmeno loro vogliono. Si riempiranno le galere in cui da giorni sono ammassati i dissidenti, ma se la protesta sale sarà contagiosa ed irrefrenabile. Lo sminamento della “disinformatia” farà correre nelle strade le tante persone perbene che hanno solo la colpa di avere Putin alla loro guida.
Ci si adoperi anche dalle nostre parti per giocare questa partita incruenta. La “guerra dell’informazione” potrebbe essere l’ultima carta per bloccare l’olocausto in corso.
In materia esistono tante pubblicazioni che possono offrire spunti. Sui banchi qualche rigattiere si possono trovare due libri in cui Roberto Di Nunzio ed io abbiamo provato a delineare i contorni di questo tema. “Cyberwar, la guerra dell’informazione” (edito da Buffetti nel 1997) e “Le nuove guerre” (uscito con Rizzoli – BUR nel 2001) fanno capire che questo campo di battaglia è “vecchio” di un quarto di secolo…
Ferrante Pierantoni, che mi voleva un gran bene, nel dedicarmi il suo “Combattere con le informazioni” ventiquattro anni orsono scriveva “A quello stronzo di Umberto Rapetto perché, anche se ha deciso di non diventare mai grande, impari a vivere in un mondo che sarà molto più difficile di quello che pensa”.
Sapevo che non sbagliava e in questi giorni ne ho la conferma. Mi duole, nel frattempo, non aver imparato a vivere. Ma lui già sapeva anche questo…