Sbigottito nel vedere battaglioni di super-esperti fucilati a morte dalle raffiche di domande insulse sul modello “quando finirà, secondo lei, la guerra?”, il telespettatore disarmato adesso deve subire le dissertazioni etimologiche sulla terminologia con cui viene etichettata la più grande vergogna del Terzo Millennio.
Lontano dal telecomando – come un ferito che cerca di raggiungere l’inarrivabile pistola cadutagli a pochi centimetri di eccessiva distanza – il quisque de populo non riesce a premere il suo “bottone rosso”, quello per spegnere (e certo non per fare un inutile zapping) l’ipnotico schermo.
Tramortito dal veder interloquire i conduttori con la gang di geopolitici (che senza pietà ha eliminato fisicamente la terribile banda degli epidemiologi), il cittadino qualunque (e non quello qualunquista) si domanda se il refrain “ci dica, sulla base della sua esperienza” sia frutto di una profonda mancanza di riguardo nei confronti degli intervistati.
Esperienza? Ma qualcuno di loro – eccezion fatta per qualche documentario su History Channel – ha mai visto una guerra? Perché costringerli ad elucubrazioni fantasiose?
Siccome le previsioni, che evocano il ricordo di numi tutelari come il memorabile Mago di Arcella o altri bizzarri personaggi, vengono incenerite dal loro mancato materializzarsi, per “rimanere sul pezzo” si ingaggiano temerarie disfide lessicali.
Ieri sera, ospite di “Otto e mezzo” a La7, Lucio Caracciolo ha ritenuto di non “ferire” la suscettibilità del giornalista economico russo Alexey Bobrovsky e al minuto 4 e 57 secondi se ne è uscito in un improvvido “chiamiamola «operazione speciale» per rispetto del collega”
Nonostante Caracciolo abbia sempre parlato di “guerra”, non tutti hanno apprezzato l’atteggiamento di cortesia e quella frase non ha faticato a rimbalzare sui social e ad innescare le polemiche più diverse.
A questo punto è d’obbligo contestualizzare quell’espressione infelice e riportare testualmente le parole di Caracciolo.
“Lascia un po’ il tempo che trova come chiamare questa guerra, che ovviamente è una guerra. E’ una guerra in cui fra l’altro non è mai stato ben chiarito – chiamiamola operazione speciale per rispetto del collega – in cui non è mai stato chiarito quale sia l’obiettivo di questo operazione speciale. Cambia quasi di giorno in giorno adesso c’è stato comunicato dal Cremlino che l’obiettivo è quello della liberazione del Donbass e quindi il collegamento con la Crimea che, dopo avere cercato di prendere Kiev, mi pare un leggero ripiegamento….”
Se non a tutti viene spontanea l’astensione da qualunque gesto cavalleresco nei riguardi di chi è megafono della propaganda, è forse bene leggere (o rivedere il video da cui è stata ricavata la trascrizione) le parole di Bobrovsky.
“La tradizione russa è quella di stare molto attenti alle parole, alla scelta del lessico. Così come il nostro Presidente – che a differenza degli americani – sta molto attento quando sceglie le parole. L’operazione speciale militare in Ucraina la chiamiamo così noi non abbiamo una guerra in corso contro l’Ucraina, abbiamo un conflitto con le persone che con le parole naziste, con dei gesti nazisti hanno preso in sostanza in ostaggio le città e la popolazione ucraina. E quindi noi stiamo molto attenti a spiegare che noi non stiamo facendo la guerra al popolo ucraino, che per noi è un popolo fraterno, che ha sempre avuto delle relazioni amichevoli con noi. E’ proprio questo il motivo per cui utilizziamo queste parole”.
Le frasi del giornalista russo sono illuminanti e dobbiamo farne tesoro. Nessuno di noi poteva credere che l’essere un “popolo fraterno” e avere “relazioni amichevoli” potesse essere tanto pericoloso.
Per evitare che qualcuno ricambi la più affettuosa amicizia con bombe (“petardi festosi” nella probabile locuzione moscovita), stragi (“azioni di riduzione demografica”), stupri (“generose avances non totalmente ricambiate”) e saccheggi (“redistribuzione dell’iniqua proprietà privata”), consiglierei subito a tutti di litigare il prima possibile con chiunque capiti a tiro, soprattutto se gli si vuole bene.