La giustizia è probabilmente solo quella divina, anche se gli atei non saranno d’accordo. I comuni mortali, almeno dalle nostre parti, sono unanimi nel considerare non socialmente soddisfacente la gestione dei processi penali, civili e amministrativi. Una valutazione tutt’altro che disfattista, pregna di preoccupazione per il crescente disagio nei pochi che ancora hanno e usano i cervello.
Le recenti decisioni del Tribunale di Caltanissetta e della Corte di Assise di Frosinone, che hanno sbalordito il quisque de populo nonostante la radicata assuefazione del “dai, non è possibile”, riguardano vicende rispettivamente del 1992 e del 2001. In entrambi i casi, il depistaggio come ingrediente d’obbligo. In entrambi i casi, nessun colpevole.
Le torbide atmosfere dell’omicidio di Paolo Borsellino e della sua scorta a Palermo e di Serena Mollicone ad Arce sono un saggio dell’inquinato contesto in cui viviamo, dove qualcosa (e forse non solo qualcosa) non funziona.
La discutibile reazione di chi ha assistito alla assoluzione degli imputati di omicidio e occultamento di cadavere è sfociata in un conato di linciaggio delle persone appena riabilitate dalla sentenza. La reprensibile condotta di chi non ha gioito alla pronuncia della Corte forse è figlia delle troppe stranezze che hanno costellato il calvario giudiziario, in cui spiccano il tempestivo suicidio di un sottufficiale dell’Arma che avrebbe visto la ragazza entrare in caserma il giorno della sua scomparsa e l’asportazione di parti del corpo dal cadavere riesumato della povera Simona che avrebbero potuto offrire elementi biologici utili alle investigazioni…
La rabbia prescinde dalla attenta lettura del “dispositivo”, se ne frega della bravura degli avvocati e dei consulenti spesso trionfanti per ammirevole bravura professionale (e “fragilità” avversaria) e non necessariamente per la verità accertata e certificata in aula. La rabbia è sorella della sfiducia ed è incinta della ricerca di una soluzione alternativa ai problemi di convivenza civile.
Se lo Stato non risponde, se lo Stato è assente o ancor peggio tollera che qualcuno “bari” per cambiare il destino dei diretti interessati e dell’intera collettività, se lo Stato impiega venti o trent’anni a (non) stabilire quel che è successo, è fin troppo naturale che qualcuno (ateo laico, miscredente del diritto, agnostico di qualsivoglia valore etico) indirizzi la sua attenzione verso interlocutori di più efficace riscontro.
Il successo imprenditoriale della criminalità organizzata poggia proprio sul concreto presidio del territorio (altro che Comandi “citofonici” o accorpamento di reparti per la spending review…), sulla rapidità di intervento e sulla garanzia di inappellabilità del loro poco convenzionale “rito abbreviato”…
Storicamente la gente poco coccolata dalle Istituzioni ha sfogato i dispiaceri e lamentato presunte iniquità e prevaricazioni rivolgendosi a chi – senza alcun contratto di outsourcing con le Forze dell’Ordine – garantiva di occuparsi di qualunque faccenda in cambio di gratitudine, obbedienza, contribuzione finanziaria…
Una grande donna di nome Stella Rimington (la prima “in rosa” ad assurgere ai vertici di un Servizio Segreto, che fu numero 1 del celeberrimo MI5 britannico dal 1992 al 1996) insisteva nel dire che per sconfiggere il terrorismo occorreva eliminarne le cause.
Se si decidesse di mutuarne il ragionamento, per mettere spalle al muro la mafia basterebbe far funzionare lo Stato e le sue articolazioni, contrastando i sistemi clientelari, troncando l’interferenza dei partiti e dei loro rappresentanti nei concorsi, nell’assegnazione di incarichi e nelle progressioni di carriera, spezzando la catena che rende la politica suddita di chi ha i voti che servono per conquistare un seggio…
Chi si rivolge al politico per una cortesia, potrebbe trovarsi a chiederla indirettamente a chi – non sempre emulo di Madre Teresa di Calcutta – gli ha consentito di totalizzare le preferenze necessarie per sedere in Parlamento. E prima o poi viene presentato il conto apparentemente in capo al debitore beneficato, ma alla fine “saldato” da chi subirà l’abuso o l’angheria richiesta dal boss di turno o da chi con lui vuol fare bella figura.
La giustizia non è solo quella che si fa in udienza.