È sempre molto interessante guardare le cose da una diversa angolazione e provare ad uscire dagli schemi che la nostra cultura occidentale, consapevolmente o inconsapevolmente, ci propone. Francamente ci sembra un esercizio essenziale in un periodo storico come quello che stiamo vivendo, dopo che le tensioni tra Paesi e culture sono aumentate esponenzialmente, portandoci ad un passo da una guerra mondiale che come al solito a parole nessuno vuole e nessuno si augura, ma che nei fatti si sta materializzando; ed il pericolo è talmente incombente che una voce autorevole come quella del Papa ebbe a dire : “Siamo entrati nella Terza guerra mondiale, solo che si combatte a pezzetti, a capitoli”. Ma in realtà in questi ultimi mesi la situazione si è ulteriormente aggravata.
Il Professore Kishore Mahbubani ci offre questa possibilità: esplorare un altro punto di vista e vedere se vi siano vie alternative ad una guerra catastrofica, che di fatto nessuno si augura. Il Professore Mahbubani è uno scrittore e intellettuale nato a Singapore, laureato in psicologia. È stato tra l’altro tra il 2000 e il 2001 Presidente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Autore di numerosi libri molti dei quali hanno scalato le classifiche mondiali, come ad esempio: “Has China won?” (“La Cina ha vinto?”).
Negli ultimi anni è cresciuto negli USA un profondo sentimento anticinese; sia tra la popolazione e sia tra la classe dirigente. Del resto, questo può anche essere comprensibile se si considera che negli ultimi 200 anni il potere che ha regolato il mondo è sempre stato in mano occidentale: prima con l’egemonia inglese poi con quella americana. Adesso per la prima volta in 200 anni stiamo assistendo ad uno spostamento di questo potere verso l’est asiatico attraverso la rinascita cinese. Questo è qualche cosa di completamente nuovo, avvenuto in un brevissimo periodo, e di fronte al quale l’occidente si è trovato impreparato.
Napoleone disse: “lasciate dormire la Cina, perché quando si sveglierà farà tremare il mondo”. E la Cina negli ultimi 30 anni si è svegliata, compiendo una vera e propria rivoluzione. Ma questo cambiamento è stato percepito solo in parte dall’occidente. Se volete siamo stati colti di sorpresa. Cullati da una falsa sicurezza dopo la fine della guerra fredda e la sconfitta del potente orso russo, abbiamo smesso di competere economicamente e politicamente.
E’ noto che la rivoluzione cinese è avvenuta attraverso profondi cambiamenti della società; essi hanno abbracciato l’economia di mercato, e mentre gli Stati Uniti nel 2001 cercavano di rialzarsi dal terribile colpo dell’11 Settembre, la Cina entrava nel WTO , l’Organizzazione mondiale del commercio, aprendo completamente le porte alla inarrestabile avanzata economica del dragone che ha tra le altre cose , avuto il merito di sollevare dalla condizione di povertà ed indigenza 700 milioni di persone; un record anche per gli standard occidentali. L’occidente si è assopito ed ha fatto suo il pensiero espresso dal politologo e filosofo Francis Fukuyama, che nel suo libro del 1992 “la fine della storia e l’ultimo uomo” aveva teorizzato come la diffusione delle democrazie liberali, del capitalismo e lo stile di vita occidentale in tutto il mondo poteva indicare la conclusione dello sviluppo socioculturale dell’umanità e divenire pertanto la forma definitiva di governo nel mondo. E da qui, se volete, il concetto di “esportazione della democrazia” tanto caro a molta dirigenza occidentale.
Ma il sentimento anticinese si è andato a mano a mano sviluppando anche a causa dello spostamento di ricchezza verso est: si badi bene che sono state le stesse compagnie americane ed europee a spostare il lavoro in asia, attratte dal basso costo della mano d’opera e dunque da lauti guadagni. Ma questo ha generato un impoverimento della classe lavoratrice media occidentale. Si pensi che il 50% dei lavoratori americani nello stesso periodo del boom cinese hanno visto i loro salari decrescere costantemente e per molti si è materializzata anche la perdita del lavoro stesso. Dunque, il risentimento popolare è anche in qualche maniera giustificato dagli eventi.
Ma c’è una cosa che noi non riusciamo a comprendere appieno ancora oggi; il profondo cambiamento della società cinese. Dal 1949 il Partito Comunista Cinese, unico partito, decide le sorti del suo popolo in maniera autoritaria. Ancora nel 1980 i cittadini non potevano decidere come vestirsi, (quasi tutti avevano il classico vestito stile Mao Tse-tung), non potevano scegliere il percorso educativo, dove e come lavorare. Uscire dal paese era impossibile. Ora tutto questo non è più vero: i cittadini si vestono come vogliono, studiano, intraprendono, e viaggiano. Si calcola che circa 120 milioni di cinesi ogni anno escono dalla Cina e, sorprendentemente per qualcuno, vi ritornano. Quindi mentre la libertà politica non è aumentata, quella personale è enormemente cambiata in meglio.
Gli Stati Uniti hanno 240 anni di storia: la Cina circa 2400, ed il fatto che proprio ora gli americani dicano ai cinesi, nel loro periodo più florido, che debbono cambiare, rimane un qualche cosa che non può avere nessuna conseguenza pratica. Semplicemente cade nel vuoto, e non fa che aumentare l’irritazione di Pechino. Inoltre, la leadership del partito comunista cinese ha ancora in mente cosa è successo alla società Sovietica dopo il suo disfacimento nel 1991: lo Stato è collassato, l’economia è precipitata, e la povertà aumentata indicibilmente; l’aspettativa di vita degli ex cittadini sovietici è precipitata dai 70 anni ai 55 anni nel solo giro di un decennio. Una catastrofe. Quindi lecita la domanda:” perché l’occidente deve avere la presunzione di sapere cosa è meglio per un popolo?” E questo vale anche per il resto del mondo in un momento storico dove anche il resto del mondo è meno incline ad accettare questo tipo di giudizi e di imposizioni.
Dunque, quale futuro ci attende? Difficile guardare nella palla di cristallo: il pensiero ed il processo decisionale dei vertici cinesi è chiuso nelle stanze del palazzo del partito a Pechino. Gli Americani e gli europei si muovono in maniera asincrona senza ben sapere che pesci prendere, tranne che vedono nella Cina una minaccia mortale. Eppure, la tradizione millenaria cinese dovrebbe in qualche modo tranquillizzarci. Se i cinesi avessero avuto lo stesso istinto imperialistico occidentale, l’Australia sarebbe stata da tempo territorio cinese. Anche la tolleranza che vi è in Asia, un continente a bassa intensità per ciò che riguarda i conflitti, dovrebbe ispirarci un po’ di tranquillità. Nel sud est asiatico convivono pacificamente etnie e religioni diversissime: circa 260 milioni di mussulmani,150 milioni di cristiani, 140 milioni di buddisti, senza considerare, poi, i taoisti, gli indù e tutte le altre confessioni più piccole.
Eppure, ci stiamo armando fino ai denti, pronti al peggio. E loro stanno facendo lo stesso.
E dunque, ecco il bivio.
Se gli Usa e la Cina decidono di intraprendere la strada che porta ad una competizione a somma zero, dove la vittoria di uno corrisponde necessariamente alla sconfitta dell’altro, allora siamo destinati ad un futuro molto burrascoso.
Ma se si sceglie di intraprendere l’altra strada che porta a convivere con le proprie differenze, in una sana competizione economica, quella che porta progresso e sviluppo in tutto il mondo, regolata da trattati e regolamenti concordati tra le due parti, allora non ci sarà una terza guerra mondiale. Ma nessuno in questo momento sà quali di queste due strade verranno intraprese. Siamo al bivio.
Max Baucus, senatore democratico americano e ambasciatore a Pechino sotto l’amministrazione Obama ha recentemente affermato come la visita della Pelosi a Taiwan sia stato un errore. Ha ribadito come in passato i contatti tra le due amministrazioni erano molto frequenti e proficui. Oggi anche a causa del Covid sono praticamente nulli. In passato le visite tra i due capi di stato e tra i vertici delle due amministrazioni si susseguivano con regolarità. Questo sarebbe oggi fortemente auspicabile. La creazione di un tavolo permanente per un costante e continuo lavoro di risoluzione delle controversie che inevitabilmente si creano tra due super potenze. Una sorta di videoconferenza costante tra leader, per scongiurare incomprensioni ed eliminarle sul nascere. La volontà del popolo cinese, ha aggiunto il senatore, è quella di una produttiva collaborazione. Anche i cinesi vogliono mettere il piatto a tavola per i propri figli e portarli al parco Disney la domenica. Lavorare per migliorare la loro condizione. Proprio come il popolo americano.
Non rimane, dunque, che imboccare la strada giusta.