Se ne è accorto solo chi aveva necessità di visite mediche e di prestazioni sanitarie. I giornali erano troppo presi dalla composizione delle liste elettorali per occuparsi di qualcosa di non meno serio. Sulla base del principio secondo il quale un fatto è accaduto solo se qualcuno lo racconta, a Torino potrebbe non esser successo praticamente nulla.
Il 19 Agosto i computer della ASL del capoluogo piemontese “vanno in tilt”, espressione generica dietro la quale si trincerano le peggiori esperienze per gli utenti di un sistema informatico e per le persone il cui destino è legato al corretto funzionamento di pc e software.
Un laconico comunicato stampa apparso su Facebook spiegava che “La ASL Città di Torino ha subito, in data odierna, un attacco informatico. Pertanto, dopo la rilevazione dell’evento, alle ore 9.00, come da linee guida sugli attacchi informatici, si è proceduto a bloccare i sistemi informatici aziendali, per effettuare le verifiche ed i monitoraggi indispensabili per mettere in sicurezza i dati e ripristinare gli applicativi aziendali cautelativamente bloccati. Ci scusiamo per il disagio”.
La letterina cristallizza il tradizionale chiudere le stalle a buoi ormai fuggiti. L’unica cosa di cui si sarebbe stati capaci pare sia stata quella di “staccare la spina” provvedendo a “bloccare i sistemi informatici”.
Dalle 9 di venerdì 19 Agosto alle 13.15 del successivo lunedì 22 a Torino il tempo si è inspiegabilmente fermato, lasciando immaginare che la città intera sia rimasta come paralizzata…
Spieghiamoci meglio. Il primo orario è quello dichiarato nel comunicato stampa, mentre il secondo si riferisce al momento in cui tale pezzo di carta è stato diffuso “erga omnes” per il tramite della piattaforma social “Facebook”.
Viene legittimamente da domandarsi cosa sia avvenuto in quel non proprio trascurabile arco orario e poi come siano stati informati i pensionati, che non adoperano Internet, della inutilità di presentarsi a qualsivoglia sportello delle strutture sanitarie.
La mia sensibilità – quella che, ad esempio, mi tiene alla larga dai film horror – mi impedisce di immaginare cosa possa essere toccato in sorte ai torinesi bisognosi di cure o assistenza…
La gravità della vicenda è conclamata e non ci sono giustificazioni di sorta. Il “mettere in sicurezza i dati” dovrebbe avvenire prima che venga sferrato qualsivoglia attacco. Sarebbe curioso sapere quanto viene speso per la gestione dell’architettura di elaborazione e trasmissione dati della ASL in questione e soprattutto – visti i risultati – quanto viene sperperato nella sempre più ricorrente (a chiacchiere) sicurezza tecnologica o cybersecurity per chi ama le espressioni anglofone.
Il successivo comunicato stampa – apparso ieri sia sul sito della Azienda Sanitaria sia, naturalmente, su Facebook che è un po’ la Gazzetta Ufficiale della Regione Piemonte – spiega che le attività sono gradualmente riprese ma dice testualmente “A seguito del criminoso attacco informatico, avvenuto venerdì 19 agosto 2022, si comunica che il conseguente necessario ricorso a procedure manuali potrebbe determinare rallentamenti nell’erogazione delle prestazioni e creare disagi all’utenza”.
Al di là della scelta di abbinare l’aggettivo “criminoso” solo all’attacco informatico e non anche alla riprovevole condotta di manager e tecnici che non sono stati capaci di prevederlo ed evitarlo, salta agli occhi un altro dettaglio. E’ il sorprendente (almeno nell’anno domini 2022) trovarsi a confessare “il conseguente necessario ricorso a procedure manuali”.
Se si può lavorare benissimo con carta e penna, a cosa dovrebbe servire tutta quella ferraglia e quell’ammasso di programmi che gravano sul bilancio pubblico? Quanto è stato speso per trovarsi in una situazione tanto drammatica? Anche stavolta non ci saranno responsabilità e nessuno verrà cacciato?
Oltre al consueto intervento del Garante Privacy, forse qualcuno auspica quello della magistratura ordinaria e di quella contabile e magari pure del Tribunale del Malato. Potrebbe persino non mancare chi si lascia scappare “e l’Agenzia Cyber?”…
Invece tutto verrà rapidamente dimenticato, facendo rientrare disservizi e tragedie nella consuetudine che – come ben sa chi ha studiato giurisprudenza – è il primo gradino delle fonti normative. Il non funzionare è così ammesso istituzionalmente. Regione Lazio docet.