Non sanno più cosa inventare. E il “da Vinci” – speriamo non resusciti – avrebbe certamente da ridire nel vedere il suo nome abbinato ad iniziative che palesano la sostanziale inettitudine di questo Paese a guardare al futuro.
E’ la mortificante storia di uno scorcio di riforma della scuola plaudita da Ministro per l’Istruzione e finanziata da un colosso industriale.
La faraonica presentazione del nuovo Liceo Digitale anticiperebbe la svolta epocale per il domani dell’Italia. In un Paese dove la pandemia dell’analfabetismo sostanziale dilaga, si pensa che l’insegnamento della robotica o dei sistemi di intelligenza artificiale a chi ha appena completato le “medie” sia la nuova rivoluzione copernicana.
Vado orgoglioso del mio ginnasio, del mio liceo classico, dei miei studi universitari di tipo umanistico e vorrei dire che quel percorso non ha certo inibito le mie prospettive di impiego che – tutt’altro che obtorto collo – sono ruotate attorno ai più moderni scenari tecnologici in cui ho avuto modo di muovermi con una certa disinvoltura.
La strombazzata novità – fortunatamente ripresa in modo marginale dai mezzi di informazione – avrebbe avuto bisogno di un input dal mondo produttivo, di una genialata che non poteva certo sortire da un manipolo di dirigenti e funzionari del dicastero competente. Mescolare materie hi-tech alle tradizionali letterarie e scientifiche non aveva certo bisogno di un teatrino promozionale a beneficio dello sponsor perché poteva trovare immediata e facile attuazione lontano dalle telecamere e magari dopo un breve periodo di sperimentazione e perfezionamento.
Chi governa l’Istruzione – e speriamo nel prossimo ospite di viale Trastevere – dovrebbe sapere che i nostri istituti tecnici hanno tradizionalmente formato fior di specialisti nelle diverse discipline, non escluse l’elettronica e l’informatica. Quel tipo di scuola già c’è e, se si crede di nobilitarla modificandone l’appellativo nel più austero “liceo” con l’innesto della filosofia e di altra qualche materia, si abbia il pudore di non spacciare una minuscola variante per evento epocale degno di menzione…
A leggere bene quel che riporta il Corriere della Sera si tratta di “un esperimento” voluto da Leonardo e dal Ministero e riguarderà ben 30 ragazzi che dal prossimo anno scolastico 2023-24 seguiranno il nuovo corso di studi. I primi diplomati arriveranno, quindi, a luglio 2029 e finalmente l’Italia potrà – secondo le intenzioni proclamate dinanzi alle telecamere – avere finalmente gente in grado di gestire l’innovazione tricolore….
Il professor Patrizio Bianchi, ancora per qualche giorno “dominus” (utilizziamolo un po’ di latino prima che il liceo digitale lo metta da parte…) del dicastero ha definito l’iniziativa in questione “una grande, vera innovazione”, palesando un suo sapersi accontentare davvero di poco a dispetto degli straordinari trascorsi scientifici e didattici che lo identificano.
Probabilmente è necessario un processo di rieducazione globale, che parte ben più lontano e che non può prescindere dal coinvolgimento collettivo. Si può cominciare con la remise en forme dei docenti, ma forse – ancor prima – con un piano di alfabetizzazione che abbraccia l’intera popolazione andando a coinvolgere i naturali esclusi di sempre. In tanti anni nessuno si è prodigato per tirare a bordo i più anziani, colmando il gap generazionale che poteva essere superato con piccoli sforzi. In tutto questo tempo non si è pensato a formare gli educatori, dagli insegnanti ai genitori, così da lasciare campo libero a chi doveva sedurre e mettere in catene virtuali i giovanissimi.
Il futuro non comincia con il liceo digitale, ma con una maggiore consapevolezza che va ben oltre la scuola e che riguarda l’intera società.
Occorre creare gli anticorpi che evitano ai meno preparati culturalmente di indossare inconsapevolmente le manette mentali che certe tecnologie sono pronte a far scattare. E’ necessario far conoscere la modernità e spiegare quella che ne è la relativa schiavitù. Invece si subisce l’ipnotico incedere di soluzioni progettate per incasellare i più giovani e per crescere discendenze di rincoglioniti, progenie di disadattati non appena il telefonino non ha campo o Internet non va.
Si è fatto credere che basta una “app” a risolvere i problemi. Certo, come no. “Immuni” docet, ma nessuno andrà a cercare quella gente e – anzi – altre torme di illusionisti sono pronti ad ingannare i cittadini di domani, abilmente inebetiti dai massicci sovradosaggi di smartphone e relativi accessori.