Non chiamatelo imperatore. Non considerate “cineserie” le coreografie associate al XX congresso del partito comunista cinese, come semplice teatro per compiacere le masse. Xi Jinping potrà anche sembrare sopra le righe nel fare la voce grossa accusando gli americani di non farsi i fatti loro, affermando che Taiwan è parte integrante della Cina e che in un modo o nell’altro verrà reintegrata, ma sono affermazioni che fanno parte di una strategia di diversione.
Le azioni, quelle serie, che devono essere messe sotto attenta osservazione dall’Occidente, sono quelle che hanno a che fare con la tecnologia. D’altronde lo ha detto chiaramente il presidente Xi Jinping quando ha ricordato che il settore tecnologico è la “prima forza guida” del paese. L’innovazione tecnologica è fondamentale per la crescita della Cina, come per ogni nazione d’altronde. Cina che investe nell’istruzione, sviluppa le sue industrie, mette a punto moderne capacità digitali e tecniche, costruisce un esercito capace. Cina che si autodefinisce in via di sviluppo, quando in effetti è tornata a essere una nazione forte, configurandosi rapidamente in una superpotenza che vuole dettare le sue condizioni.
La tecnologia non solo è fondamentale per il modo in cui comunichiamo, commerciamo, lavoriamo e viviamo, ma è anche parte integrante dell’intelligence, del potere militare, delle operazioni informatiche, della sicurezza sanitaria, della resilienza e, naturalmente, della crescita economica. Quindi è un fattore di vantaggio strategico per chi è in grado di sfruttarne il potenziale.
La Cina lo capisce. Deliberatamente e pazientemente ha lavorato per ottenere questo vantaggio strategico, plasmando gli ecosistemi tecnologici del mondo.Le azioni, politicamente motivate, dello stato cinese relative alla tecnologia, sono un problema urgente che si deve affrontare sia perché la tecnologia sta cambiando la definizione di sicurezza nazionale, espandendone l’ambito, sia perché è diventata non solo un’area di opportunità, concorrenza e collaborazione, ma è anche un terreno, se non il terreno, di scontro per il controllo, il confronto dei valori e la capacità d’influenza a scala globale.
Guai ad affermare che in fondo è “solo” una questione di scienza e ingegneria. Mai dimenticare i possibili impatti sui nostri modi di vivere.Il mondo occidentale vede la tecnologia, sempre che la concorrenza fra gli attori sia leale, come fattore che consente maggiore libertà, prosperità e collaborazione globale. Peccato che, dal canto suo, la leadership cinese considera la tecnologia essenziale strumento di controllo: dei propri mercati, di quelli nella propria sfera di influenza e, naturalmente, dei propri cittadini. Il che, in un mondo sempre più complesso e interconnesso, mette in pericolo la sicurezza e prosperità future dell’Occidente.
Serve dunque un’azione concertata degli alleati occidentali per evitare che vengano esportati, attraverso la tecnologia, i valori divergenti proposti da Pechino.
Quanto sopra è, in essenza, la sintesi di quanto raccontato da Jeremy Fleming, direttore del quartier generale per le comunicazioni del governo britannico (GCHQ, Government Communications Headquarters, l’agenzia governativa che si occupa della sicurezza, nonché dello spionaggio e controspionaggio nell’ambito delle comunicazioni, attività tecnicamente nota come SIGINT (SIGnal INTelligence)), martedì 11 ottobre scorso, in un discorso agli specialisti internazionali della difesa nell’ambito della conferenza RUSI 2022 sulla sicurezza.
Il RUSI, ufficialmente noto come Royal United Service Institute for Defence and Security Studies, già conosciuto come Royal United Services Institute for Defence Studies, è un Think-tank, un istituto di studi e ricerche britannico, fondato nel 1831 dal Duca di Wellington, Sir Arthur Wellesley.
Sir Fleming è andato giù duro: “… La leadership cinese crede di trarre la sua forza, la sua autorità, dal sistema chiuso del partito unico. Cercano di assicurarsi il loro vantaggio attraverso la dimensione di scala e il controllo. Ciò significa che vedono opportunità nel controllare il popolo cinese piuttosto che cercare modi per sostenere e liberare il potenziale dei propri cittadini. Vedono le nazioni come potenziali avversari o potenziali stati clienti, da minacciare, corrompere o costringere. Il Partito ha scommesso il proprio futuro su questo approccio, escludendo i molti futuri alternativi per il popolo cinese nel processo. Sperano che il successo futuro, basato su questo sistema, sia inevitabile”.
“Penso”, continua Sir Fleming, “che alla base di questa convinzione alberghi la paura. Paura dei propri cittadini, della libertà di parola, del libero scambio, degli standard tecnologici aperti e delle alleanze. Paura dell’intero ordine democratico aperto e del sistema internazionale basato su regole. Non sorprende che mentre la nazione cinese ha lavorato per costruire la sua economia avanzata, il Partito ha usato le sue risorse per imporre leggi draconiane sulla sicurezza nazionale, una cultura della sorveglianza e l’uso sempre più aggressivo della potenza militare. Stiamo assistendo alle manifestazioni di questa paura attraverso la manipolazione degli ecosistemi tecnologici che sono alla base della nostra vita quotidiana, il monitoraggio dei propri cittadini, la limitazione della libertà di parola e l’influenza sui sistemi finanziari e nuovi settori di interesse”.
Per dare corpo alle sue affermazioni, Sir Fleming ha presentato degli esempi di tecnologie che lo stato cinese vuole usare a suo vantaggio: lo yuan digitale, il sistema satellitare Běidǒu, gli standard tecnologici internazionali.
Lo “yuan digitale” è la valuta digitale di stato in fase di lancio da parte della banca centrale cinese. Il che preoccupa non poco gli specialisti che ritengono che i regimi autoritari potrebbero utilizzare questa tecnologia per scopi di sorveglianza e controllo. Lo yuan digitale potrebbe consentire allo stato cinese di monitorare le transazioni dei suoi cittadini e delle sue aziende. Non solo.
La guerra in Ucraina sta insegnando non poche lezioni. Una valuta digitale centrale potrebbe, dice Sir Fleming, “consentire alla Cina di eludere parzialmente il tipo di sanzioni internazionali attualmente applicate al regime di Putin in Russia”.
Molte persone pensano che lo yuan digitale sia semplicemente un’altra criptovaluta. In realtà è altro. Nel caso delle cripto si deve prima selezionare la piattaforma e, successivamente, depositare denaro per effettuare un ordine. Lo yuan digitale si basa su un sistema a due livelli. Il primo è la Banca popolare cinese. Il secondo sono le banche commerciali. La People’s Bank of China distribuisce lo yuan digitale alle banche commerciali accreditate. I clienti di queste banche possono poi facilmente convertire presso di loro le proprie banconote in yuan digitale per utilizzarli senza altri problemi. Da notare che avere a che fare con uno sportello bancario in Cina è una perdita di tempo e una prova di pazienza clamorosa. Un semplice trasferimento di fondi dalla Cina all’Italia richiede almeno 4 ore….
Il sistema satellitare Běidǒu, oggi alla sua terza generazione, è la versione cinese del Galileo europeo (di cui erano partner), del GPS statunitense o del GLONASS russo. 41 satelliti che orbitano intorno alla terra e permettono di navigare senza perdersi, di sapere la posizione esatta di qualcosa o… di qualcuno. Il Partito Comunista Cinese “consiglia” caldamente, ai cittadini e alle imprese cinesi, di usare, di adottare e di esportare Běidǒu, in tutto il mondo.
Domanda: voi che avete a bordo della vostra vettura un sistema di navigazione, sapete quale costellazione di satelliti, di quale paese, sta utilizzando? Che fine fanno i vostri dati?
Attenti a quando comprerete la vostra prossima auto elettrica Made in China…
A proposito di Běidǒu, Sir Jeremy ha dichiarato: “Molti credono che la Cina stia costruendo una potente capacità anti-satellite, con la dottrina di negare ad altre nazioni l’accesso allo spazio in caso di conflitto. Si teme anche che la tecnologia possa essere utilizzata per rintracciare le persone…”.
In merito agli standard tecnologici internazionali, Sir Jeremy ha citato un’industria cinese che propone nuovi protocolli che minaccerebbero la libertà di Internet, riducendone l’interoperabilità e causando la frammentazione dei sistemi. La mano dello Stato cinese può essere rilevata nelle mosse volte alla definizione di un modello di rete con maggiore controllo governativo. Un modello che “minaccia i diritti umani con l’introduzione di nuovi metodi di tracciamento”. Non c’è da stare tranquilli.
Molto hanno fatto in Cina per la messa a punto delle Smart City, città intelligenti che, con l’uso sbagliato della tecnologia, diventano centrali di sorveglianza e accumulo dati. Soluzione urbane che la Cina esporta. Come esporta le sue tecnologie cercando di creare “economie e governi clienti”.
Sir Jeremy afferma che i paesi dove ciò avviene rischiano di “ipotecare il futuro”.
Rischiano?
Insomma, Sir Jeremy Fleming è tanto preoccupato. Forse perché ha ben presente quanti e quali nefandità vennero compiute dall’impero britannico (non solo da loro) nelle terre del celeste impero. La memoria del periodo 1839-1949, quello che è passato alla storia come il secolo dell’umiliazione (https://en.wikipedia.org/wiki/Century_of_humiliation) è ben viva nel popolo cinese. Tanto quanto il loro senso di rivalsa.
Dunque, attenti a non farsi sorprendere dalle strategie di diversione.
Il presidente Xi Jinping non è persona da prendere sotto gamba. Non si rimane dieci anni, facendosi riconfermare per almeno altri cinque, al governo di un paese immenso, complesso, difficile come la Cina se non si hanno caratteristiche eccezionali.
Almeno altrettanto eccezionali quanto la Cina stessa e la Cina non dimentica.