Molto spesso quando incappiamo in un malfunzionamento o in un disservizio imprechiamo alla “pessima organizzazione” che diventa per questo il parafulmine di tutti i nostri malumori.
Il tema è meno banale di quanto potrebbe apparire a prima vista.
Questo perché ciò che genericamente appelliamo con il termine di “organizzazione” è in effetti responsabile (o almeno noi lo riteniamo tale) di molti aspetti che impattano in modo significativo sulla qualità della nostra vita.
Un autobus che non passa, un treno che arriva in ritardo, un volo cancellato, una fila chilometrica allo sportello di un ufficio,
una lunga attesa al ristorante e giù a dare addosso alla povera “organizzazione ” che a volte qualche colpa effettivamente ce l’ha, ma spesso si tratta più di culpa in vigilando, attribuibile quindi ad una responsabilità oggettiva piuttosto che soggettiva.
Arrogandomi perciò il ruolo di difensore d’ufficio della vituperata “organizzazione” imposto la mia linea difensiva su di una chiamata in correità e per fare questo inizio a delineare i vari ambiti di responsabilità partendo da una breve premessa storica.
Tanto per cambiare i principi organizzativi nascono o quantomeno si rafforzano in ambito militare.
L’industrializzazione della guerra è (anche qui tanto per cambiare) opera dei Romani: fino ad allora i conflitti sul campo venivano affrontati dall’orda, una moltitudine di soggetti uniti da vincoli parentali o tribali armati ed equipaggiati in modo difforme che riponevano le loro possibilità di vittoria su numero, forza fisica ed aggressività.
I Romani che erano “curti e niuri” (almeno in origine) hanno però sterminato un numero incalcolabile di questi rodomonti alti e biondi, perdendo molte battaglie, ma vincendo tutte le guerre
Potrei dilungarmi moltissimo sull’argomento, ma preferisco restare sui riferimenti ancor validi ai giorni nostri limitandomi ad un unico concetto: i Romani possono essere considerati gli inventori di quella che nelle moderne organizzazioni è definita la “span of control” cioè il numero di subordinati che un capo controlla direttamente.
2 centurie un manipolo, 3 manipoli una coorte, 10 coorti una legione: anche nella battaglia più furibonda il numero di sottoposti che ogni superiore doveva coordinare direttamente era contenuto e ciò rappresentava un netto vantaggio competitivo rispetto ad un’ orda di 10 mila scalmanati che magari rispondevano ad un unico capo, con tutte le conseguenti difficoltà di collegamento e coordinamento, soprattutto nel caos di uno sterminato campo di battaglia.
Ogni 2 coorti un tribuno, un tribuno esperto (il tribuno laticlavio) svolgeva le funzioni di vice comandante ed infine il Legatus nel ruolo di comandante.
Questa “span of control” consentiva al comandante di controllare l’intero dispositivo relazionandosi con soli cinque riporti ed a ognuno di questi cinque di coordinare il settore affidato alla sua responsabilità tramite sei sottoposti.
Bastano le reminiscenze liceali sul De Bello Gallico per completare il quadro con le avanzatissime concezioni cui si ispiravano i Romani in tema di logistica: a salmerie e “impedimenta” cioè vettovaglie, bagagli, equipaggiamento e pezzi di ricambio Cesare riservava infatti un’attenzione maniacale che a qualcuno di noi è valsa probabilmente qualche insufficienza in latino.
Nascono così i principi di base dell’organizzazione a cui ancor oggi si uniformano le aziende moderne e cioè suddivisione dei compiti e meccanismi di coordinamento, principi che già negli anni 80 venivano studiati all’università sul Mintzberg, testo sacro incentrato sulle 5 configurazioni organizzative “pure” (struttura semplice, burocrazia meccanica, burocrazia professionale, soluzione divisionale ed adhocrazia)
Dopo questo rapidissimo excursus storico, veniamo ai giorni nostri iniziando a fare qualche precisazione per meglio inquadrare l’argomento, distinguendo i vari ambiti che genericamente riferiamo alla “organizzazione” e precisamente pianificazione, programmazione, logistica ed infine la cenerentola organizzazione.
Esiste una letteratura sterminata su queste macro categorie e certamente la mia semplicistica e grossolana suddivisione tralascia importantissimi sotto insiemi, ma la ritengo comunque sufficiente per dare un’idea di massima di ciò che intendo rappresentare.
Espongo quindi una mini declaratoria, indicativa e non esaustiva, di ciascun ambito assumendomi la piena responsabilità di inesattezze o approssimazioni trattandosi di farina del mio sacco e non di definizioni tratte dalle corpose pubblicazioni esistenti sull’argomento
PIANIFICAZIONE: cosa devo fare, con quali obiettivi, con quali mezzi
PROGRAMMAZIONE: le tempistiche con cui dare corso a quanto pianificato
LOGISTICA: come mi procuro i mezzi necessari, come li conservo, come li trasporto, come li metto in condizione di funzionare.
ORGANIZZAZIONE: predisposizione di policy, normative, regolamenti, processi e procedure per rendere efficiente ed efficace rispetto agli obiettivi di fondo tutto quanto realizzato nei precedenti ambiti.
Forti di queste conoscenze appena acquisite possiamo ora ricalibrare il nostro disappunto in ordine agli inconvenienti-tipo che a titolo di esempio ho elencato in premessa.
Vedremo così che non necessariamente un autobus che non passa sia frutto di un problema organizzativo.
Se non passa perché non è stata prevista la disponibilità di un autobus perfettamente efficiente, rifornito di carburante e con un autista addestrato è un problema di pianificazione.
Se tutto era stato correttamente pianificato, ma la manutenzione è stata ultimata in ritardo, il carburante è arrivato il giorno dopo mentre l’autista era arrivato il giorno prima e stufo di aspettare se ne è tornato a casa si tratta di carenze di programmazione.
Se invece tutto era stato correttamente pianificato e programmato, ma il carburante non è arrivato ed i pezzi di ricambio neppure è contro la logistica che dobbiamo inveire.
Infine se tutto è meticolosamente pianificato e programmato, ma l’autista si gratta perplesso la cucurbita senza sapere cosa fare perché nessuno gli ha consegnato un regolamento che disciplinasse lo svolgimento dei suoi compiti assicurandosi che lo leggesse, né un ordine di servizio che lo autorizzasse a muovere il mezzo lungo un determinato percorso piuttosto che su di un altro a suo piacimento, allora si che potremmo chiamare in causa l’organizzazione.
Durante la mia vita professionale mi sono occupato di tutti questi ambiti, ma credo che pur essendomi sforzato di mantenere in questa modestissima rappresentazione una certa imparzialità, traspaia in maniera piuttosto evidente che il mio grande amore è stata l’organizzazione, la mia amante storica la pianificazione mentre con programmazione (mi scuso con Gantt ed il suo diagramma) e logistica ho avuto intense, ma brevi relazioni passeggere.
Ora questa schematizzazione ha una valenza prettamente concettuale perché è di tutta evidenza che vada tarata a seconda della realtà aziendale in esame.
Ad esempio le fasi chiave del ciclo industriale (produzione, commercializzazione, distribuzione e vendita) di un’azienda manifatturiera sono diverse da quella di una realtà operante nei servizi come può essere una compagnia assicurativa o una banca.
In quest’ultima infatti non troveremmo una catena articolata come quella sopra descritta perché l’operatività si svolge in filiali connotate da un contesto ” labour intensive” su cui impatta l’ 80% degli adempimenti connessi a produzione, commercializzazione, distribuzione e vendita, momenti che invece restano ben distinti e distribuiti nel caso di realtà manifatturiere.
Durante una mia lontana esperienza come docente universitario proprio in tema di organizzazione, per tenere gli studenti svegli durante le fasi di calo dei glucidi proiettavo un paio di slide su due battaglie del passato proprio per stimolarli a riflessioni su questi concetti di base.
La prima battaglia che citavo era quella di Isandlwana (Sudafrica 1879) tra inglesi e zulu.
Ponevo la domanda in questi termini: nella battaglia di Isandlwana 1.200 inglesi e 600 nativi del Natal affrontarono 10 mila Zulu, ma grazie ad un armamento più moderno ed un addestramento superiore vinsero….?
Lasciando così la risposta agli studenti che immancabilmente dichiaravano in coro: “gli Inglesi!”
In realtà vinsero gli zulu che probabilmente avrebbero vinto comunque, ma è un fatto che molti fucilieri inglesi furono trafitti dalle assegai degli zulu mentre tentavano disperatamente di aprire le casse di munizioni con i calci dei fucili poiché le stesse erano con una colonna mentre le chiavi con un’altra: quindi chi aveva le chiavi non aveva le munizioni e viceversa.
Qui la domanda: fu un problema di pianificazione, programmazione, logistica o organizzazione?
Con i pochi elementi a disposizione assolverei la pianificazione (era previsto che le chiavi ci fossero) la programmazione (le chiavi non erano arrivate in anticipo o in ritardo) e la logistica (chiavi e munizioni erano state regolarmente consegnate).
Il grande imputato stavolta è proprio l’organizzazione: mancava un protocollo che stabilisse ” chi fa che cosa”: chi coordina, chi esegue e chi controlla, con la definizione dei rispettivi ambiti di responsabilità.
Dei 1800 uomini che formavano la colonna inglese si salvarono solo 300 nativi, che forse proprio perché nativi non si fidavano troppo delle circolari di Sua Maestà e magari le cartucce se le erano portate da casa.
L’ organizzazione anche se tardivamente intervenne dopo quella che fu la più grave disfatta coloniale inglese, diramando una normativa che stabilì che le casse di munizioni dovessero avere invece della serratura una chiusura con un foglio metallico che si apriva a strappo tramite una maniglia…folgorante intuizione che se più tempestiva poteva forse salvare qualche fuciliere in più.
Il secondo episodio che citavo si riferiva alla battaglia di Waterloo quando l’animoso Ney si lanciò in una coraggiosa quanto sconsiderata carica di cavalleria contro cannoni inglesi posizionati strategicamente.
Questa è ricordata come la più imponente carica della Storia (5.000 cavalieri) ed ebbe successo, tanto che a quel punto le sorti della battaglia sembrarono volgere decisamente a favore dei francesi.
Solo che Ney attaccò senza l’appoggio della fanteria, per cui non riuscì a mantenere la posizione.
Era consuetudine in quei casi che i cavalieri portassero nella bisaccia della sella dei chiodi che venivano ribattuti nel foro focone dei pezzi nemici per renderli inutilizzabili.
Ebbene, di 5.000 cavalieri nessuno aveva dei chiodi!
Probabilmente qualcuno avrà anche pensato a portarli, ma forse era tra le centinaia di caduti sotto il tiro dell’artiglieria inglese durante la travolgente carica.
Morale: gli inglesi contrattaccarono, recuperarono i cannoni perfettamente funzionanti e da quel momento non ci fu più storia.
Qui è complicato dare la colpa alla pianificazione, alla programmazione o alla logistica.
Il fatto che gli ufficiali subalterni galoppassero forsennatamente ventre a terra lungo lo sterminato fronte di 5 mila cavalieri gridando : ” Les clous! Les clous !” significa chiaramente che era previsto che i chiodi ci fossero e che fossero disponibili in quel momento, il che assolverebbe pianificazione e programmazione.
Quanto alla logistica sarebbe azzardato ipotizzare che con tutto il po’ po’ di materiale che si tirava dietro l’Armèe mancasse una manciata di chiodi, anche perché Napoleone era un altro fissato maniacalmente sulla pianificazione.
La grande imputata anche in questo caso è l’amatissima organizzazione che avrebbe dovuto:
- Assicurarsi che la logistica consegnasse i chiodi formalizzando tempistiche e specifiche del materiale escludendo ad esempio le puntine da disegno
- Individuare il responsabile della tenuta dei chiodi,
- Individuare chi doveva effettuare i controlli di primo e secondo livello.
- predisporre gli accorgimenti affinché i
portatori di chiodi non finissero ammazzati prima del tempo (evento tutt’altro che insolito nel momento in cui si carica a cavallo contro delle batterie perfettamente funzionanti).
Ho banalizzato un pò soffermandomi sull’esempio dei chiodi (che comunque la sua importanza l’ha avuta visto l’esito della battaglia) per far intendere quanto sia immane il compito dell’organizzazione.
Immaginate infatti quante attività sia necessario processare solamente per far arrivare un po’ di chiodi nel punto giusto al momento giusto nel caos di una battaglia ed elevatele all’ennesima potenza derivando tutte le variabili che possono interferire sul risultato finale per ogni singolo elemento presente non solo su di un campo di battaglia, ma in un ospedale, in un aeroporto, nel trasporto navale o ferroviario, nella realizzazione di una grande opera è così via all’infinito.
Immagino che miei carissimi ex colleghi, veri esegeti nel campo dell’organizzazione, inorridiranno nel leggere la banalità della mia rappresentazione, ma vorrei rassicurarli in quanto non erano loro il mio target.
Pensavo invece a chi totalmente digiuno di nozioni in campo organizzativo, si trovi in albergo in vacanza e riscontri un disservizio, ad esempio la mancanza della marmellata a colazione.
Prima di leggere il mio articolo si sarebbe forse limitato ad inveire sul malcapitato capo cameriere.
Ora invece potrebbe porre la questione al povero cameriere in termini diversi.
A) Se la marmellata non era stata prevista in quantitativi adeguati si tratta di carenze di pianificazione.
B) Se invece era stata prevista, ma la consegna era stata erroneamente fissata tre ore dopo il termine dell’orario di colazione, è un problema di programmazione
C) Se invece tutto è stato correttamente pianificato e programmato, ma il furgone che trasportava la marmellata l’ha consegnata ad un altro albergo, è una chiara disfunzione logistica.
D) Infine se il furgone ha consegnato regolarmente la marmellata secondo quanto pianificato e programmato, ma non si sa chi debba scaricarlo è un problema di organizzazione.
Pensate ancora che parlare di organizzazione sia tempo perso?
Eccovi allora l’applicazione pratica:
Caso A) Pianificazione: alzatevi prima la mattina
Caso B) Programmazione: tenetevi la marmellata per la merenda pomeridiana
Caso C) Logistica: imbucatevi a fare colazione nell’altro albergo
Caso D) Organizzazione: cercate il furgone e prendetevi da soli la marmellata che vi serve, ma con moderazione sennò è reato
Buona colazione a tutti
Presi dal vortice elettorale in cui il numero dei candidati sfiora quello dei votanti che andranno alle urne, la guerra in Ucraina ha perso di appeal e desta poca preoccupazione il disastro economico e sociale che ci sta per piovere sulla testa.
I nostri connazionali – che esprimeranno le rispettive preferenze, disegneranno il futuro Parlamento e contribuiranno alla scelta di chi ci governerà – in queste ore hanno letto con piacere che un migliaio di loro avrebbe ottenuto (a pagamento, naturalmente) una cittadinanza straniera risolvendo ogni problema.
Questi signori, spendendo da 200 a 700 euro, sono emigrati virtualmente e hanno ottenuto documenti, passaporti e persino onorificenze dal tanto fantomatico quanto suggestivo Sovrano Stato Teocratico Antartico di San Giorgio.
Con un paio di clic e di bonifici tanti italiani si sono liberati dalle angosce quotidiane, non ultima quella di dover chiedere al proprio Comune – informaticamente sgangherato – carte o servizi che normalmente richiedono attese estenuanti.
Come si legge su Facebook (fonte principale cui si abbeverano i bene informati dell’era contemporanea) “Il Sovrano Stato Antartico di San Giorgio offre attualmente i seguenti servizi ai cittadini: carta d’identità, passaporto. certificato di nascita, certificato di matrimonio, conto bancario (on-line), tassa di soggiorno (attualmente di un importo forfettario del 4%), Company registration Corporate Status for International Trading (attualmente ad un tasso fiscale fisso del 5%)”.
A leggere le varie comunicazioni non c’è traccia del conseguimento della patente di guida e i più perspicaci ritengono che sia dovuto alla scivolosità dei ghiacci che non permetterebbe alle autoscuole di preparare gli aspiranti conducenti…
Mentre mi stropiccio gli occhi per strappare l’opaco velo dell’incredulità, scopro che la storia merita un libro e non un banale editoriale. E’ iniquo riservare poche righe ad una vicenda la cui dimensione rivelata dai giornali – per restare in clima polare – è soltanto la punta dell’iceberg…
Questa elementare considerazione mi induce a ricostruire la genesi di questa bizzarra storia e a dividerne in porzioni il racconto.
Tutto comincia con il “riconoscimento della legittimità internazionale dello Stato di San Giorgio” che sarebbe avvenuto a cura della giustizia arbitrale, ovvero attraverso uno strumento – alternativo alla giurisdizione ordinaria – che viene utilizzato per risolvere liti civili e internazionali e la cui decisione è affidata a soggetti di propria scelta e fiducia.
A sancire la legittimità in questione è l’altisonante “Tribunale Civile Internazionale” che le persone normali immaginano a Ginevra, L’Aja o in chissà quale altra sede normalmente crocevia dei destini del mondo. Invece no, Si tratta di un “Organo Permanente della Corte Europea di Giustizia Arbitrale” di Ragusa e della sua sentenza n. 2/2013 del 31 gennaio 2013.
Tale sentenza di lodo arbitrale il 6 febbraio 2014 è stata depositata al Tribunale Ordinario per ottenerne l’esecutività nei confronti della controparte che – contrariamente alle tradizionali suggestioni geografiche – non era un pinguino che rivendicava la sua sovranità sul pezzo di ghiaccio che occupava da anni,
A contestare lo Stato di San Giorgio era infatti “l’Ufficio del Procuratore Generale della Corte Europea di Giustizia Arbitrale, nella persona del suo Procuratore Generale avv. Baldassare Lauria”.
Siamo solo all’inizio, ma fermiamoci qui.
Se da una parte c’è chi si stupisce della genialità italica e addita i soggetti ora agli arresti domiciliari, non tutti si chiedono chi siano i campioni del mondo di dabbenaggine capaci di cascare in una simile disavventura.
Rinviando al prossimo “corsivo corrosivo” la prosecuzione del racconto, per aiutare le legittime riflessioni dei lettori ecco qui due immagini che posizionano geograficamente la Nazione in argomento e che illustrano (stradario indispensabile per chi pensa di farci un salto) la topografia dei luoghi in questione.