Ci sono aziende che dimostrano il loro impegno per l’ambiente e la sostenibilità finanziando direttamente o attraverso l’acquisto di crediti di carbonio (“carbon credits”) progetti di tutela ambientale per compensare le emissioni di anidride carbonica, ridurre le emissioni di gas serra e limitare l’aumento delle temperature globali. I consumatori sono sempre più sensibili alla responsabilità sociale delle aziende e preferiscono acquistare da quelle più rispettose dell’ambiente.
Le aziende sono passate da sporadici interventi di facciata come sponsorizzazioni “verdi” o eventi saltuari per abbellire il bilancio di sostenibilità, bollati con il termine “greenwashing” ad un vera e propria riformulazione della mission aziendale, delle strategie e dei cambiamenti di cultura aziendale necessari a trasformare in azioni concrete e durature il rapporto fra l’azienda e i suoi pubblici di riferimento (“stakeholder”).
In questo processo si sono consolidati gli standard ESG (Environmental, Social and corporate Governance) legati alla sostenibilità e utilizzati dai gestori di fondi e dagli investitori nelle decisioni sugli investimenti. Gli investimenti ESG sono spesso chiamati “investimento sostenibile” o “impact investing” e i gestori possono usare gli standard ESG per scegliere investimenti potenziali e classificare i rischi non finanziari.
I dati attuali dimostrano che le aziende più capaci di rispettare e valorizzare le persone sono anche quelle che attraggono i migliori talenti e che generano più utili. ESG non si riferisce unicamente agli standard di sostenibilità ambientale ma anche alla gestione del capitale umano. Uno dei requisiti per la quotazione e la permanenza negli “stock exchange” americani è la pubblicazione di “proxy statements”, documenti che spiegano agli azionisti quali argomenti verranno trattati nelle riunioni annuali o straordinarie. In questi documenti si parla di diversità, equità, inclusione, politiche sociali, di governance, di rispetto dell’ambiente. Un ambiente aziendale che premia questi valori incide positivamente sui risultati quantitativi e qualitativi. Sempre di più il pubblico e gli investitori percepiranno come meno legittime le aziende che non affrontano queste tematiche con trasparenza e concretezza.
I dati parlano chiaro. Ad esempio, secondo un’analisi della Cerved Rating Agency, “le società con valutazione ESG bassa hanno in media una probabilità di default dalle 2 alle 5 volte superiore a quella delle più virtuose” (Ricerca ESG Connect). Fra i vari fattori che la Cerved considera per assegnare il profilo di rischio di un’azienda (e quindi il suo livello di accesso al credito) è la valutazione ESG. Ad una migliore valutazione ESG corrisponde un profilo di rischio più basso. “
Il rispetto delle cose e delle persone dovrà sempre più far parte del DNA delle aziende e questa impostazione è già codificata per le aziende quotate in molte borse azionarie.
Ma a tutt’oggi ci sono tante aziende di notevole successo che non si preoccupano né
dell’ambiente nè del capitale umano. Fra queste ci sono le aziende controllate da Elon Musk. Egli sostiene la carbon tax perché Tesla produce vetture elettriche e in qualità di azienda meno inquinante riceve dal governo i carbon credits che rivende ad aziende come General Motors o Fiat Chrysler. Ma a Maggio 2022 Tesla è stata rimossa dal S&P 500 ESG Index perché non ritenuta più un’azienda socialmente responsabile, che non assegna adeguata priorità alle tematiche ambientali, sociali e di governance. La fabbrica di Fremont è stata definite un “ambiente lavorativo con segregazione razziale dove i lavoratori neri sono soggetti ad insulti razzisti e a discriminazione nell’assegnazione dei turni, nella disciplina, la paga e la promozione” (rif. “Tesla is being booted from the ESG Index”)
In altre parole, se tratti bene i tuoi dipendenti non solo valorizzi il tuo fattore più importante per i risultati, ma ti inserisci fra le aziende in cui vale la pena investire.
Con Twitter, Musk potrebbe ignorare ancor di più le classifiche ESG perché da quando se l’è comprata non è più quotata e può fare quello che vuole. Senza nulla togliere al suo spirito visionario, alla sua voglia di pensare al futuro o alla sua capacità di stravolgere modelli di business per farli ripartire in modo efficace e geniale (per Twitter siamo ancora in fase di prova), chiediamoci se il prezzo da pagare sia quello che Musk ha imposto a Twitter da quando ne ha preso il controllo.
Se Musk si preoccupa tanto del futuro del pianeta, perché tratta così male i suoi dipendenti, il suo capitale umano, gli esseri che nel mondo dovrebbe proteggere dall’estinzione del riscaldamento globale? A pensarci bene, non ha senso. I costi indiretti di questa tossicità umana sono depressioni, suicidi, divorzi, instabilità economica, sfiducia nel futuro. Quale equilibrio e visione a lungo termine proietta un uomo che con un tweet può licenziare migliaia di persone e pochi giorni dopo riassumerne altre migliaia e in alcuni casi le stesse persone che ha liquidato giorni prima? Non sappiamo se la rivoluzione che ha innescato in Twitter darà i suoi frutti in termini di guadagni, di miglioria dei servizi, controllo delle fake news e libertà di espressione, ma comunque vada, è questo l’ambiente lavorativo che vogliamo?
Molti giustificano il suo atteggiamento sprezzante e netto (o sei dentro o sei fuori, o sei idoneo o ti scarto) alla sindrome dello spettro autistico, che, seppur ritenuta di livello 1 e altamente performante, lo predispone a classificare qualsiasi decisione in modo dicotomico, eseguibile in un batter d’occhio senza perdere tempo con le sfumature. Musk può anche controbattere che il rischio imprenditoriale e l’elasticità del mercato del lavoro negli Stati Uniti permettono totale libertà in entrata e in uscita.
Ma se vuoi ridurre la tossicità atmosferica con i carbon credits, perché non creiamo gli “Human Carbon Credits” che ti permettono di trattare i tuoi dipendenti a pesci in faccia? Acquistali e contribuisci alla fornitura gratuita di consulenze psicologiche e psichiatriche, servizi di outplacement e buoni spesa quando sei senza lavoro. Mera provocazione gratuita? Chissà, un giorno il costo dei danni umani potrebbe essere banalmente compensato dai Human Carbon Credits per rientrare nell’olimpo dei papabili per gli investimenti. Tanto vale valorizzare le persone in partenza, perché se oggi ci sono fondi che non investo in aziende che comprano i carbon credits ma che tutelano l’ambiente in partenza, un giorno gli stessi fondi non investiranno in Human Carbon Credits perché non fanno del capitale umano il loro DNA di partenza.
Musk non è il solo a comportarsi in modo contradditorio. Jeff Bezos licenzia 10000 dipendenti ma al tempo stesso promette che lascerà il 95% della sua fortuna in beneficenza. Non a caso un inserzionista ha pagato un’intera pagina
pubblicitaria sul Sole 24 ore del 16 novembre 2022 per dire a Bezos “mi complimento con lei per la scelta di donare in futuro una parte del suo patrimonio per salvaguardare il pianeta. Nello stesso tempo mi permetto di chiederle di annullare il licenziamento di 10mila persone, pensando prima all’uomo e poi al pianeta”. Zuckerberg si accorge di essere partito troppo in fretta con il metaverso e “scusate, mi rincresce dover liquidare 11000 persone”. Bella questa elasticità. E’ questo il progresso che vogliamo?