Se Internet è un mare, va detto, è molto pescoso. E i truffatori non perdono occasione per gettare il loro amo nella certezza che prima o poi (ad esser sinceri, quasi sempre “prima”) qualcuno abbocca.
I banditi sanno fare gli occhi dolci alle loro vittime e hanno sbalorditiva capacità di ingolosire chi ha gran fame di ricchezza che costi poca fatica.
La cronaca affastella quotidianamente situazioni fraudolente che si profilano senza dubbio poco incoraggianti. Perché avere poca fiducia che si possa arginare questo genere di iniziative criminali? Molto semplice e ora ve lo spiego, rifuggendo da tecnicismi e limitandomi a raccontare le cose in modo comprensibile a tutti. Per evitare i voli pindarici, che solitamente accompagnano le narrazioni teoriche, faccio un caso pratico.
Una organizzazione non meglio definita (o, ad onor del vero, pronta sempre a cambiar intestazione e marchio) dichiara di avere sede al primo piano della First St. Vincent Bank, in quel di James Street nella cittadina di Kingstown (da non confondere con Kingston, capitale della Giamaica). La località è nelle caraibiche isole Grenadine, un tempo famose per ragioni filateliche perché i suoi francobolli policromi hanno sempre appassionati i giovanissimi collezionisti.
Chi – senza muoversi di casa – vuol scoprire cosa c’è a quell’indirizzo e non intende affrontare un viaggio di migliaia e migliaia di chilometri può approfittare delle mappe digitali o delle comuni app dei navigatori. Senza cimentarsi in faticose e costose trasferte il risparmiatore ha modo di sincerarsi delle chiacchiere e dei toni entusiastici dei suoi interlocutori.
Uno sguardo alle foto ed ecco come si presenta il palazzo dell’istituto di credito che ospita la società finanziaria. Una malconcia strada di periferia, un immobile fatiscente, le tapparelle sgangherate, un senso di abbandono e provvisorietà.
E’ lì che avrebbe sede “Capitalbiz”, la realtà che promette rendite favolose e profitti senza precedenti. E’ la società a sua volta posseduta da una sorta di holding chiamata “Evolve Consulting Llc.”: non siamo dinanzi ad una complessa architettura organizzativa, ma semplicemente davanti ad una fin troppo scontata sequenza di scatole cinesi.
Diciamo che le immagini sono molto meno patinate dell’atmosfera che viene fatta sognare dalle parole di chi sollecita investimenti e versamenti di denaro. I toni ammaliatori fanno perno sul punto debole della potenziale vittima, ovvero sul suo desiderio di guadagnare molto e possibilmente in fretta.
Il cliente da turlupinare viene invitato a dare un’occhiata al sito web di “Capitalbiz” e a sincerarsi della bontà delle opportunità che gli vengono prospettate. Il sito – a dispetto della trasparenza che dovrebbe caratterizzare chi opera nel settore finanziario – non avrebbe un “intestatario” palese e puntualmente individuabile: chi vuole scoprire chi ci sia “dietro” è costretto ad arrendersi perché le diverse “anagrafi telematiche”, quelle che custodiscono le informazioni delle registrazione dei “domini” web, riportano che l’identità è schermata da società di gestione della privacy…
I “signori” di Capitalbiz raccolgono denaro ogni volta per decine di migliaia di euro e poi raccontano che circostanze sfortunate hanno divorato il capitale. Chiedono altri soldi, facendo credere che così si può recuperare quanto perso e ottenere i sospirati guadagni, ripetendo questa solfa fino a spennare definitivamente il pollo. E di queste storie in Rete non manca l’occasione di leggerne.
In tempi recenti la CONSOB, l’istituzione cui compete il controllo della regolarità e della conformità a legge dell’offerta di servizi finanziari, ha ordinato l’oscuramento di due siti che fanno capo a questa combriccola. I due insediamenti Internet in questione sono capitalbiz.io e capitalbase.io e a questi si aggiunge il sottodominio webtrader.c-base.cc.
I truffatori in questione non si lasciano certo intimidire da simili provvedimenti che l’Autorità emette in ragione dei poteri derivanti dal “decreto crescita” (legge n. 58 del 28 giugno 2019, articolo 36, comma 2-terdecies), in base ai quali Consob può ordinare ai fornitori di servizi di connettività Internet di inibire l’accesso dall’Italia ai siti web tramite cui vengono offerti servizi finanziari senza la dovuta autorizzazione.
I provider ci impiegano qualche giorno a “mettere i sigilli” e i malandrini – come l’esperienza insegna e la prassi dimostra – aprono istantaneamente un altro sito il giorno stesso con un indirizzo leggermente diverso e la giostra continua.
Vista la facilità di “resurrezione” dei siti balordi, alle iniziative di “inibizione dell’accesso” andrebbero affiancate azioni di effettiva sensibilizzazione.
A cascare in queste trappole è gente non giovanissima, abituata più a vedere la televisione o a leggere il giornale che a scorrazzare online. Non si può pensare che possano funzionare i pur accorati appelli a far attenzione che vengono pubblicati sul sito della CONSOB…
Una campagna educativa dovrebbe prendere forma sui mezzi di normale utilizzo delle potenziali vittime. Nel frattempo confidiamo nel passaparola e ci auguriamo che queste poche righe possano essere d’aiuto.