Tre eventi hanno impattato di recente sull’opinione pubblica favorendo la nascita di folte schiere di “esperti” che ci hanno sfiancato negli ultimi anni con previsioni spesso talmente infondate sotto il profilo oggettivo da sconfinare nella profezia.
In questo forsennato triathlon mediatico abbiamo visto sconosciuti opinionisti indossare il camice bianco iniziando a correre da virologi con la pandemia.
Come avviene per i migliori triatleti, si sono poi cambiati in corsa indossando tuta da combattimento ed anfibi passando quindi a discettare di scenari bellici e strategie militari.
Ora con l’arresto di Messina Denaro molti di questi triatleti stanno rivestendo i panni di consumati investigatori, rilevando particolari che sfuggirebbero al più occhiuto Sherlock Holmes e ipotizzando le più strampalate dietrologie.
A tale nuova generazione di tuttologi va comunque riconosciuto il merito di aver strozzato nella culla l’emergente categoria di “Vaticanisti con CEPU” che stava timidamente tentando di prendere forma e sostanza dopo la scomparsa del Papa Emerito Ratzinger.
In questo ha indubbiamente giocato un ruolo centrale la variabile tempo, perché un conto è sparare di stoccata minchiate su pandemia, guerra e mafia, altra cosa è attrezzarsi per intuire gli imperscrutabili percorsi di una realtà presente nella Storia Occidentale da più di duemila anni.
Personalmente posso affermare di:
- A) aver resistito senza fatica al desiderio di partecipare alla prima tappa del triathlon (la pandemia).
- B) di essermi concesso qualche timida osservazione sulla seconda tappa (guerra in Ucraina) limitandomi il più possibile ad aspetti osservabili, misurabili e riproducibili, rifuggendo dalla formulazione di previsioni sciamaniche.
- C) di essermi tenuto a rispettosa distanza dalle vicende Vaticane fedele al motto “scherza con i fanti, ma lascia stare i Santi (o aspiranti tali)”
- D) …..
Ecco, alla lettera D relativa all’arresto di Messina Denaro le mie certezze vacillano: in linea di principio non vorrei gettarmi nella mischia.
Del resto vedo però posizioni contrastanti e confliggenti assunte non da parvenu improvvisati che si azzuffano in tv a vantaggio dell’audience più becero.
Nossignore…qui autorevolissimi attori che di questa materia sono davvero super esperti esprimono valutazioni diametralmente opposte il che, oltre ad aumentare lo sconcerto generale alimentato ad arte dai media, legittima le più strampalate teorie complottiste.
In questo varco si gettano infatti golosamente i “triatleti” che così non debbono nemmeno spremersi troppo le meningi per formulare teorie delle quali comunque qualcuno potrebbe anche un giorno chiedergli conto.
È sufficiente infatti raccogliere e rilanciare qualcosa di pronto la cui paternità spetta a qualcun altro, magari anche dotato della necessaria autorevolezza, accapigliandosi con chi rilanciando un contenuto di segno opposto ha compiuto analoga operazione in campo avverso.
In questo caso il rischio di beccarsi qualche colpo di rimbalzo è quindi concreto il che suggerirebbe prudenza e moderazione.
D’altro canto se ritengo doveroso lasciare agli addetti ai lavori le valutazioni tecniche, mi parrebbe però una forzatura astenermi dal formulare qualche interrogativo o evidenziare qualche perplessità tanto più che interrogativi e perplessità sono presenti anche tra gli operatori del settore.
Intanto, forse perché ho visto troppi film polizieschi o più semplicemente documentari sulla cattura di narcotrafficanti da parte della DEA, l’arresto di un pezzo da 90 me lo immaginavo completamente diverso.
Pensavo ad un “cordonne sanitaire” che isolasse completamente tutta la zona creando una vasta area interdetta a tutti.
Misure elettroniche per interrompere comunicazioni telefoniche e di dati, cecchini sui tetti e via con tutto l’armamentario regolamentare.
Probabilmente i cecchini ci saranno anche stati e per fortuna non sono serviti, perché sparare con precisione a qualcuno in mezzo a quel maracanà sarebbe stata un’impresa ardua per chiunque.
Vedendo infatti i servizi televisivi sembrava di assistere all’arresto di uno scippatore a Porta Portese.
Folla accalcata, video girati con i telefonini, applausi, grida…boh! Mi ha fatto un certo effetto…sicuramente la cosa andava gestita così, ci mancherebbe altro.
Lì erano in campo le migliori risorse investigative ed operative del Paese…ma non posso fare a meno di riandare con il pensiero ad un recente articolo di Umberto Rapetto che qualche arresto in vita sua l’ha fatto.
La domanda pleonastica che si poneva l’articolo era: “ma se invece dello smartphone avessero avuto un’arma da fuoco?”
Ora è di tutta evidenza che Messina Denaro nella sua lunga carriera criminale qualche antipatia se la sia attirata così come è altrettanto lecito immaginare che qualcuno per ragioni facili da intuire abbia tutto l’interesse a vederlo morto.
Eppure, almeno a giudicare dalle riprese televisive, molte persone apparivano talmente vicine da girare dei video.
Vero è che c’è chi dice che con quel dispiegamento di forze, sarebbe stato comunque impossibile un’azione finalizzata ad uccidere o liberare Messina Denaro.
Ho notato che chi sostiene legittimamente questa posizione, che ascolto con il massimo rispetto, è relativamente giovane.
Io invece che purtroppo giovane non sono, ricordo benissimo che c’era tantissima polizia, giornalisti e folla anche quando Jack Ruby sparò con una calibro 38 a Lee Oswald ammanettato fulminandolo…e quelli che lo stavano portando in carcere non erano certo boy scout.
Un’altra domanda che mi pongo è perché l’arresto sia avvenuto nella clinica dove venivano somministrate le cure di cui Messina Denaro necessitava.
Così come gli investigatori erano perfettamente al corrente che il boss mafioso si sarebbe recato lì, molto probabilmente conoscevano anche il punto di partenza e gli itinerari possibili per giungervi.
Sarebbe infatti del tutto singolare che si conoscesse orario e punto di arrivo ignorando del tutto quello di partenza.
Sicuramente c’è un razionale “tecnico” per il quale sia stata giudicata ottimale l’opzione di arrestarlo in clinica rispetto a quella di bloccarlo direttamente al punto di partenza o in itinere e quindi non mi soffermo ulteriormente su questo dettaglio.
Passo quindi direttamente al punto dove penso di avere qualche credenziale per esprimere un’opinione, trattandosi non di un ambito giuridico o investigativo, ma prettamente di comunicazione.
Tra gli autorevoli esperti del settore (intendo quelli veri, del mestiere, non gli opinionisti da talk show) sono emersi due orientamenti contrapposti circa le modalità con cui è stato tratto in arresto il Messina Denaro.
In particolare c’è chi richiamandosi a insindacabili e non negoziabili principi di civiltà non solo giuridica ha apprezzato il fatto che nella circostanza non siano state utilizzate le manette e chi invece con argomenti altrettanto solidi sostiene l’esatto contrario.
È plausibile che sotto il profilo puramente tecnico le manette fossero superflue: le possibilità di resistenza o fuga di un soggetto sessantenne, disarmato ed in precarie condizioni fisiche, in un contesto altamente saturato da personale specializzato erano obiettivamente nulle.
Ma la pericolosità di un soggetto del genere non credo vada misurata con i comuni parametri.
È del tutto evidente ad esempio che il boss in questione in un confronto fisico con un banditello da strada soccomberebbe.
Il punto è che nessun banditello da strada oserebbe sfidare un boss di questo calibro e non tanto o non solo per quello che gli potrebbe capitare dopo.
La vera corazza che rende invulnerabili questi personaggi è il “rispetto”, o almeno una particolare interpretazione di ciò che noi definiamo con questo termine.
Quando perdono questa corazza diventano vulnerabili come tutti ed a quel punto chiunque può colpirli ed eliminarli.
Il cliché cui anche Messina Denaro si ispirava ricalcava questo stereotipo con tanto di poster del film “Il Padrino” a tappezzare i suoi covi.
La calma ostentata al momento dell’arresto, l’assoluta mancanza di resistenza, il look curatissimo, i complimenti di rito agli investigatori rappresentano il cardine centrale della rappresentazione che ogni boss di rango si prepara a recitare per tutta la vita in previsione del momento topico dell’arresto, sempreché qualche “collega” non abbia provveduto ad ammazzarlo prima.
È la loro uscita di scena e quindi deve essere all’altezza della storia criminale che hanno vissuto fino a quel momento: non può essere contaminata da urla, sputi, insulti, bestemmie e da una scalmanata e poco dignitosa (quanto inutile) resistenza alle Forze dell’ordine.
Nossignore…si rischierebbe di arrivare in carcere con i vestiti in disordine, gli occhiali rotti e magari qualche livido e questo può andar bene per la manovalanza.
Un boss entra in carcere trasmettendo al suo “pubblico” il messaggio che l’aura che lo circonda viene rispettata persino dallo Stato, che può braccarlo ed infine arrestarlo, ma nel rispetto del copione che sostiene l’essenza stessa di questi personaggi, cristallizzandoli nel ruolo che gli compete nella gerarchia criminale.
Non è un caso che un bandito di ben più modesta caratura come Massimo Carminati provò goffamente in più di un’occasione ad interpretare un ruolo analogo, tessendo le lodi del ROS e complimentandosi con gli investigatori, scimmiottando il fair play del boss di rango.
Ma l’interpretazione fu evidentemente lacunosa, perché questa, sebbene fosse disarmato, su di una Smart, in compagnia del figlio, in una stradina solitaria, non gli evitò di trovarsi con le M12 puntate alla testa e di finire ammanettato senza troppi complimenti.
Come si vede chiaramente dal video diffuso dai Carabinieri anche in quel caso le possibilità di resistenza o fuga erano nulle: macchina davanti, macchina dietro, strada strettissima, armi con la pallottola in canna puntate contro e soprattutto la presenza del figlio in macchina erano elementi sufficientemente rassicuranti, tant’è che Carminati evidentemente preoccupato per l’incolumità del figlio da tutto quel nervosismo e da tutte quelle armi non solo resta calmo, ma raccomanda la calma anche ai Carabinieri.
Inoltre non era latitante e se ne stava tranquillamente a casa sua, eppure non solo non sono state adottate modalità di arresto meno concitate, ma le immagini dell’operazione sono state diffuse dalla stessa Arma dei Carabinieri.
In termini di impatto comunicativo un arresto “polite” come quello riservato a Messina Denaro risulta quindi perfettamente funzionale all’immagine coltivata dagli stessi boss, oltre che ad offrire il fianco alle inevitabili dietrologie sugli accordi di apparato.
Personalmente vedo l’esonero dalle manette come una sorta “di onore delle armi” concesso ad un nemico valoroso e leale, ma per quanto mi sforzi non riesco a trovare nulla di onorevole, valoroso e leale nei trascorsi di Messina Denaro.
Quindi pur rispettando profondamente sensibilità diverse dalla mia su questo tema…non sono tra coloro che si sarebbero scandalizzati vedendo il boss con i ferri ai polsi.