Emanuele NOTARBARTOLO, marchese di San Giovanni, nacque a Palermo nel 1834 da una illustre famiglia aristocratica di fede borbonica. Il suo fu il primo “omicidio eccellente” nella storia della mafia, la prima vittima nell’alta società siciliana ed italiana. Nel 1857 sposò la causa liberale e nazionale per un’Italia unita e nel 1860 si unì alle truppe garibaldine combattendo a Milazzo. Ufficiale nel Regio Esercito, combatté contro il brigantaggio in Italia meridionale. Lasciata la divisa, si impegnò in politica nell’area liberal-moderata; la fama e la stima lo resero accettato da tutti. Era una delle più illustri personalità della Sicilia; nel 1865 divenne assessore alla Polizia Urbana a Palermo e nel 1873 divenne Sindaco del capoluogo siciliano guidando uno schieramento liberale composto da Destra e Sinistra storica, contrapposto a quello clericale-regionalista. Fu Sindaco per tre anni.
La sua specchiata onestà ed intransigenza lo contraddistinsero. Si adoperò per combattere la corruzione nelle dogane, atto che gli creò l’inimicizia con la mafia. Nel 1876 fu nominato Direttore Generale del Banco di Sicilia (all’epoca era uno dei sei Istituti di emissione del Regno d’Italia) dove rimase sino al 1890. Nominato dall’ultimo Governo della Destra storica, venne confermato anche dai successivi della Sinistra storica. Anche qui brillò per onestà ed integrità. Contrastò interessi mafiosi e politici che contribuirono a procurargli la morte, avvenuta nel 1893. Nel decennio successivo al suo assassinio vi furono vari processi che divisero l’opinione pubblica siciliana e scossero quella dell’Italia intera in quanto emersero i rapporti tra mafia e politica da un lato, magistratura ed investigatori dall’altro. Il “caso Notarbartolo” portò all’attenzione di tutto il giovane Stato italiano, per la prima volta, il fenomeno mafioso. Esso fu oggetto di articoli su tutta la stampa nazionale e per un lungo tempo catalizzò l’attenzione degli italiani.
Per comprendere la personalità di Emanuele Notarbartolo è illuminante la biografia scritta dal figlio Leopoldo (1869-1947), Ufficiale della Regia Marina. La biografia del padre, nella quale mai esaltò il proprio ruolo nei processi, venne pubblicata dalla moglie due anni dopo la sua morte.
Emanuele Notarbartolo acquistò una tenuta (Mendolilla), in un terreno brullo a quaranta chilometri da Palermo trasformandola, con gli anni ed un grande impegno personale ed economico, in una fattoria modello, rifuggendo dalla figura di proprietario assenteista, tipica dei notabili palermitani del tempo. Per i lavori impiegò manodopera locale, rifiutandosi di utilizzare quella del vicino centro di Caccamo, nota roccaforte della mafia.
Notarbartolo venne assassinato mentre era in costruzione una cappella per i contadini. La tenuta, che aveva trasformato un arido terreno, con grandi investimenti personali, in una rigogliosa fattoria, rappresentava un modello utopico di sviluppo in Sicilia. Come altri conservatori illuminati agognava un capitalismo paternalistico e rurale, una via “sicura” verso la modernità. Il loro modello doveva arginare e contrastare la povertà e l’instabilità del nuovo Stato, l’illegalità diffusa nelle campagne del Meridione. Paventavano un conflitto sociale per il divario con l’industrializzazione del Settentrione.
Il nobile siciliano temeva per la sua incolumità, tanto da aver realizzato una sorta di blindatura dello studio (travi di acciaio, mattoni incombustibili) dove custodiva armi e munizioni in quantità.
I timori, oltre all’essere cosciente dei suoi atteggiamenti onesti ed intransigenti non certo graditi alla mafia, derivavano da episodi pregressi. In particolare, nel 1882, alcuni banditi lo avevano sequestrato in circostanze poco chiare. Venne tenuto per sei giorni in una grotta e liberato dopo il pagamento di un riscatto. Pochi giorni dopo il capo dei sequestratori venne ucciso ed il corpo, attinto da colpi alla schiena, trovato nelle campagne di Caccamo. Gli altri vennero catturati in virtù di una soffiata anonima dopo un conflitto a fuoco nella cittadina di Villabate, centro mafioso, in una villa vuota di proprietà di una baronessa. La villa della nobildonna confinava con la proprietà di Raffaele Palizzolo (1843-1918) ed ambedue ricadevano nel territorio di Villabate, feudo della cosca prediletta del Palizzolo (cardine della Destra Storica in Sicilia, deputato dal 1882 al 1890 e dal 1890 al 1900). All’epoca del sequestro il principale contrasto tra i due era nella gestione del Banco di Sicilia di cui il Notarbartolo era Direttore Generale ed il Palizzolo un influente membro del Consiglio di Amministrazione. Il primo tentava di porre ordine negli affari dell’Istituto riformandolo e sottraendolo al controllo politico (i politici erano i due terzi del Consiglio di Amministrazione), il secondo gli frapponeva ogni possibile ostacolo ai tentativi di mutamento.