Solo sei mesi dopo la Corte di Cassazione annullò la sentenza della Corte d’Assise di Bologna per un vizio di forma: un testimone, dopo aver giurato, aveva dovuto interrompere la deposizione per una controversia tra avvocati. Ripresa la deposizione il giorno dopo non aveva rinnovato il giuramento.
Il nuovo processo si celebrò a Firenze e si aprì il 5 settembre del 1903. Erano passati ben dieci anni e sette mesi dall’omicidio del nobile siciliano. Unici imputati erano i già condannati Palizzolo e Fontana. Un testimone, Matteo Filippello, ritenuto il trait d’union tra Palizzolo e la cosca di Villabate, nel 1896 sospettato di aver partecipato ad una lite per la spartizione del compenso per l’omicidio Notarbartolo, scomparve alla vigilia della testimonianza e venne trovato impiccato a Firenze. L’inchiesta sancì che si trattava di suicidio.
Nonostante molti resoconti investigativi la mafia era ancora un qualcosa di oscuro ma, cosa grave, anche di incerto ed indefinito. Troppi ne davano solo descrizioni sociologiche e giustificative di modi di fare non ricollegabili agli aspetti criminali organizzati e strutturati (esempio famoso ne fu l’antropologo palermitano Giuseppe Pitrè, 1841-1916).
Mutarono le strategie della difesa e l’accusa non fu all’altezza della situazione come a Bologna. Il 23 luglio la giuria, a maggioranza, assolse gli imputati per insufficienza di prove.
Il rientro a Palermo di Palizzolo fu celebrato con festeggiamenti (sontuosi e plaudenti) non privi di eccessi che durarono alcuni giorni. Il giornale dei Florio, “L’Ora”, parlò di una Palermo liberata da un incubo. Molti siciliani rimasero sconcertati dalla sentenza e per i festeggiamenti di chi credevano fosse un criminale. I suoi potenti amici lo abbandonarono ed alle elezioni non venne eletto. Continuò a curare le clientele ma la sua figura di massimo referente del sistema clientelare siciliano venne meno. Nel 1908 si recò a New York per ringraziare quanti avevano raccolto 20.000 dollari per la sua causa. Dichiarò ad un giornale che lo scopo della sua visita era “instillare nei suoi compatrioti siciliani i princìpi cui deve ispirarsi un buon cittadino”.
Giuseppe Fontana emigrò per gli Stati Uniti con la sua famiglia dove continuò la sua carriera criminale, entrando a far parte della banda di Giuseppe Morello, detto Piddu, un corleonese, operante a New York.
Emanuele Notarbartolo per pagare le spese processuali vendette l’amata tenuta del padre, Mendolilla, raggiunse il grado di Ammiraglio e visse i suoi ultimi anni a Firenze.
Fonti:
John Dickie, Cosa Nostra. Storia della mafia siciliana, Laterza
Salvatore Lupo, La mafia. 160 anni di storia, Donzelli editore