A chi viene folgorato dalla indebita cifratura di archivi e documenti elettronici, non bastano i guai tecnologici? Perché illudere imprenditori e manager lasciando credere che le somme versate per il riscatto possano essere “ammortizzate” inserendole negli oneri deducibili sul fronte tributario?
I titoli dei mezzi di informazione sono fondamentali e, avendo avuto l’opportunità di collaborare due anni con le pagine culturali de Il Manifesto, so quanto sia importante colpire il potenziale lettore. Mentre i giornalisti di via Tomacelli sono, Maradona dell’apertura, degli artisti insuperabili e le loro prime pagine meritano di essere collezionate, meno magistrali sono gli artigiani del cosiddetto “clickbait” che pur di richiamare l’attenzione del pubblico confezionano occhielli, titoli e catenacci irresistibili per chi non conosce la fonte della notizia.
E’ il caso del “Ransomware e deducibilità dei costi del riscatto: le indicazioni di Agenzia delle Entrate” apparso sul sito Cybersecurity360 nella giornata di ieri e subito diventato virale tra la folta schiera di chi – poco prudente e ancor meno preparato – è stato protagonista di certi infausti incidenti.
Dinanzi ad un simile annuncio qualcuno ha tirato un sospiro di sollievo al solo pensiero di potersi “scaricare” i costi di un simile esborso, doloroso per l’importo e faticoso per le modalità di pagamento in bitcoin.
L’articolo parla di “deducibilità dei costi del riscatto” e questo subito riempie il cuore di gioia dell’incauto lettore.
Perché non fidarsi? Chi scrive è specializzata in cybersecurity e data protection e “Associate” – espressione probabilmente viterbese dove la “e” è finale di qualunque lemma del dizionario – in un notissimo studio legale della Capitale, cui certo non sembra fare positiva pubblicità. L’autrice sarebbe autorevole ma a dispetto delle citate “indicazioni di Agenzia delle Entrate”, non riporta il documento originale.
Chi non arriva – come nei “gialli” – all’ultima riga non scopre l’assassino ed è legittimamente portato a pensare che i tecnici dell’Agenzia (esperti loro malgrado di inconvenienti informatici, visto il ripetersi di disavventure hi-tech dell’Anagrafe Tributaria) abbiano deciso di incentivare il pagamento del riscatto ai criminali che cifrano i dati e – pur al verificarsi di precise condizioni – di non escludere la deducibilità di certi costi…
Purtroppo l’articolo si guarda bene dal riportare il testo di quella che in gergo si chiama “risposta ad interpello”, ovvero chiarimento ufficiale da parte del fisco a fronte di una specifica sollecitazione del contribuente.
C’è chi – magari meno “specializzato” dell’autrice – ha semplicemente il vizio di volersi sincerare dell’attendibilità di una buona notizia, ritiene fondamentale procurarsi quel che ha effettivamente scritto l’Agenzia delle Entrate nella “Risposta n° 149 del 2023” e arriva a scoprire (“per vedere di nascosto l’effetto che fa” cantava Enzo Jannacci) l’indeducibilità dei costi in questione come peraltro riporta già nell’oggetto la nota stessa.
Se il quesito fiscale trova dettagliata spiegazione in quel documento (che merita di essere letto), viene spontaneo porsi qualche domanda in ordine alla legittimità del pagamento del riscatto.
Non volendo annoiare con tediose dissertazioni, credo sia doveroso ricordare che il pagamento di un riscatto effettuato a vantaggio e nell’interesse dell’azienda (come Alfa S.p.A., che ha formulato l’interpello all’Agenzia delle Entrate e che risulta essere società quotata sul Mercato telematico azionario della Borsa di Milano) impone di dare un’occhiata alle prescrizioni del decreto legislativo 231/2001 “Responsabilità amministrativa delle società e degli enti”.
Varrebbe la pena considerare l’articolo 25-ter di quella norma perché l’aver costituito una provvista finanziaria per il pagamento potrebbe configurare i reati di false comunicazioni sociali, ostacolo all’esercizio dell’autorità di vigilanza, impedito controllo…
Si ha poi l’impressione (credo condivisa dai più) che il pagamento di un riscatto evidenzia una violazione di valori, principi ed ideali di comportamento dichiarati dal Codice etico, il quale rappresenta una promessa al pubblico come indicato nell’articolo 1989 del codice civile.
Una simile condotta potrebbe essere considerata anche presupposto del reato di finanziamento della criminalità organizzata, ma fermiamoci qui. Accontentiamoci di sapere che Alfa SpA e chi altro ha dato denaro agli estorsori digitali non potrà avere sconti dal fisco.