Una decina di giorni fa ero in diretta ad Agorà su Rai Tre a parlare di hacker quando il programma è stato interrotto dal tonante intervento di un importante uomo politico del Paese che con tono imperativo richiedeva alla conduttrice una smentita che in realtà era già stata fatta in quel dibattito dal vivo (guai a dire “talk show”, perfida Albione!).
L’autorevole intervento rimarcava l’estraneità del personaggio di Governo ad un fantasioso articolo de La Stampa che gli attribuiva indebitamente una discutibile dichiarazione inerente l’opportunità di inserire tra le materie scolastiche l’insegnamento delle armi.
La notizia falsa (anche “fake news” è stato giustamente rimosso dall’italico idioma) ha innescato gratuite polemiche e, al contempo, dato lavoro ad una pletora di avvocati chiamati – chi a lamentare l’infamia, chi a cercar esimenti ed attenuanti – a duellare in ambito giudiziario a seguito dell’annunciata querela dell’interessato.
L’introduzione dell’insegnamento in questione era stata avvalorata dalla sussistenza di esigenze funzionali del Sistema di Difesa nazionale e di corretta educazione dei più giovani a sacri valori ossidati dall’incuranza popolare.
L’infondatezza dell’articolo e, soprattutto, la presentazione di denunce e reclami non hanno dato modo di conoscere i suggestivi dettagli che avrebbero caratterizzato gli studi in argomento.
Chi si era appassionato al verificarsi di una simile opportunità didattica è rimasto con una caterva di dubbi irrisolti.
La prima curiosità riguarda la fascia di classi in cui avrebbe dovuto avvenire l’inserimento della materia e qualcuno ha subito ipotizzato un percorso graduale che garantisse la progressiva maggiore famigliarità con certi arnesi. Probabilmente il percorso formativo poteva già partire dalle scuole materne, rendendo dotazione di ordinanza una pistola ad acqua che avrebbe permesso di acquisire ottime competenze in fatto di puntamento al bersaglio e di gittata…
Le armi sarebbero state incluse nell’elenco dei libri di testo, rispettando una certa obbligatorietà, oppure si sarebbe prospettata una minuscola possibilità di scelta (magari optando a piacere per una pistola automatica oppure per un revolver)?
Alcuni, forse particolarmente legati a storiche tradizioni tricolori, si sarebbero permessi di dare un piccolo suggerimento a proposito del giorno in cui tenere la lezione. Il sabato avrebbe avuto un suo perché.
La discussione tra favorevoli e contrari ad un potenziale nuovo fronte scolastico ha trovato tutti d’accordo nel gioire della conclusa emergenza pandemica. In presenza di contagi Covid, infatti, si sarebbe dovuto affrontare il tema della “Didattica a Distanza” che nella fattispecie avrebbe potuto – per le esercitazioni da remoto e per i compiti a casa – cambiare sostanzialmente il train-de-vie di tante famiglie.
Immaginare questo genere di DaD a Scampia o in altre località “vivaci”, porta a non escludere piani di intervento Scuola-Lavoro e il riconoscimento di crediti formativi per gli studenti già pratici di queste cose.
Qualcuno aveva immaginato anche “esenzioni” sul modello della “104”: chi, ad esempio, ha un famigliare pregiudicato per rapina a mano armata potrebbe pretendere un “esonero” dell’esame orale/scritto e chiedere di sostenere direttamente il test pratico. Qui però scatterebbe il comprensibile sospetto che potrebbe farsi aiutare dai genitori, evidenziando un vantaggio competitivo difficilmente colmabile da compagni di classe meno fortunati.
Mentre i connazionali si perdevano in sterili polemiche e troppo severe critiche al Sottosegretario estraneo a qualsivoglia idea o proposta in merito, in qualche angolo del mondo qualcuno ha subito preso spunto e non ha tardato a fare proprio quel che Massimo Giannini addebitava al nostrano senatore.
Se l’ipotesi – a prescindere da chi l’aveva o non l’aveva partorita – era “made in Italy”, vedendo il filmato in questa pagina qualcuno reclami una scorretta clonazione che mortifica e penalizza la nostra creatività…