Premessa.
L’ottobre scorso, con 340 voti favorevoli, 279 contrari e 21 astensioni, i deputati europei hanno approvato l’accordo raggiunto con il Consiglio sugli obblighi di riduzione delle emissioni di CO2 per nuove auto e nuovi furgoni, in linea con gli ambiziosi obiettivi climatici dell’UE. In sintesi, a partire dal 2035, tutte le nuove auto devono essere a emissioni zero: non possono emettere CO2.
Dopo il 2035 sarà possibile continuare a guidare una delle auto attualmente in circolazione e se acquistate ora un’auto nuova, potrete guidarla fino alla fine del suo ciclo di vita. Poiché la vita media di un’auto è di 15 anni, dal 2035 inizia il processo di rinnovamento del parco circolante che consentirà, entro il 2050, di avere solo veicoli neutrali dal punto di vista climatico. Ovvero che non emettono CO2. Gli obiettivi intermedi di riduzione delle emissioni per il 2030, rispetto a quelle attuali, sono stati fissati al 55 per cento per le autovetture e al 50 per cento per i furgoni.
Tesi.
Gli obiettivi fissati sono, avvalendosi della migliore sintesi manageriale del secondo tragico Fantozzi, una cagata pazzesca.
Dimostrazione.
Per semplificare le cose e adottare le condizioni più favorevoli non consideriamo i furgoni. In Italia, dato 2020, circolano 39 milioni 822 mila automobili. Ognuna di esse percorre in media, dato 2021, circa 11mila e 200 km all’anno.
Ipotizziamo che al 2050, tutte le vetture circolanti siano elettriche e siano analoghe all’attuale 500e FIAT.
Ogni 500e ha una batteria da 42 kWh che consente 320 km di autonomia. Poiché siamo ottimisti, assumiamo che nel 2050 la stessa capacità consentirà di percorrere 500 km.
Se ne ricava che ogni vettura avrà bisogno, nell’arco di un anno, di essere ricaricata 23 volte. Approssimiamo a 20. Quindi ogni vettura avrà bisogno di 966 kWh all’anno. Facciamo 1000 kWh per semplificare i conti.
Ipotizziamo, con stima molto conservativa, che nel 2050 in Italia ci siano 40 milioni di automobili. Se ne ricava che ogni anno avranno bisogno di 40 terawattora. Un terawattora è pari a mille miliardi di wattora, ovvero un miliardo di chilowattora.
Per produrre questa quantità di energia elettrica, possiamo avvalerci della tecnologia di fissione nucleare. Consideriamo centrali nucleari da 800 MW, ovvero 800 milioni di watt. Si tratta di impianti di tecnologia provata e assai affidabili. Normale considerare che possano lavorare per circa 330 giorni all’anno, ovvero 8000 ore all’anno. Quindi ogni impianto è in grado di fornire 6,4 TWh, ogni anno.
Per coprire la domanda servono 6,25 centrali nucleari. Tempo di costruzione e avvio, più o meno 10 anni. Si partisse oggi, saranno disponibili nel 2033.
Certo, possiamo ricorrere alle energie rinnovabili. Fotovoltaico, per esempio. I migliori pannelli solari producono circa 20 W per metro quadro. Nell’ipotesi di avere un chilometro quadrato, assumendo che sia tutto coperto da pannelli, (cosa non possibile perché occorre lasciare lo spazio alle aree di servizio che si portano via un buon 20 per cento della superficie), è in grado di produrre 20 MW. Considerando che il valore medio dell’insolazione in Italia è di circa 2mila 500 ore all’anno, con semplice calcolo si trova che un chilometro quadrato dei migliori pannelli fotovoltaici disponibili fornisce 50 GWh all’anno, ovvero 0,05 TWh
Per avere i 40 TWh anno richiesti dalle vetture elettriche occorrono 800 km quadrati di territorio. Aggiungendo gli spazi necessari per la manutenzione ed esercizio, i chilometri quadrati diventano 960. Più o meno un quarto della regione Valle d’Aosta.
Ora parliamo di soldi, che non guasta mai.
Considerando che il costo di installazione dei pannelli è pari a circa 3mila euro al chilowatt, ovvero 3 euro a watt, ogni chilometro quadrato di pannelli costa 60 milioni di euro. Ottocento chilometri quadrati di pannelli richiedono un investimento pari a 48 miliardi di euro.
Una centrale nucleare da 800 MW costa, vuoto per pieno, fra i 6 e i 7 miliardi di euro. Quindi, per il nucleare in totale servono fra i 36 e i 42 miliardi di euro. La soluzione pannelli solari costa circa fra i 6 e i 12 miliardi di euro in più.
Poco male, che volete che siano qualche miliardo di euro…
Andiamo avanti con le nostre considerazioni.
Assumiamo ora che, non si sa bene chi, dove, come e con che soldi, abbia installato la capacità di produzione elettrica richiesta. Una domanda sorge spontanea: come la si trasporta?
Oggi, in Italia l’estensione della rete elettrica ad alta tensione è pari a circa 73mila chilometri, per quella a media tensione i chilometri sono 350mila, mentre sono 780mila i chilometri per quella a bassa tensione.
Quanti nuovi elettrodotti saranno necessari, quante stazioni elettriche, quanti chilometri di strade urbane occorre aprire per fare passare i nuovi cavi? Chi pagherà questi titanici lavori?
Conclusioni. Tutto ciò detto, considerando le ipotesi sovra esposte come ragionevoli e certamente non esaustive, si può affermare di avere dimostrato la tesi: trattasi di cagata pazzesca se si pensa di avere solo e tutte vetture elettriche a batteria ricaricabile. Vero che l’accordo approvato dai deputati europei non lo dice in modo esplicito, ma è anche vero che sono in tanti a pensarlo.
Attenzione: arrivare a definire un sistema di trasporto veicolare a emissioni zero non è per nulla una cagata pazzesca. Si può fare.
La mobilità esclusivamente elettrica è possibile, ma solo se si cambia radicalmente sia il mix di veicoli, sia l’architettura del sistema energetico elettrico. Non possono essere tutte vetture elettriche alimentate a batteria da ricaricare collegandosi a una presa. I veicoli avranno propulsione, o trazione, assicurata da uno o più motori elettrici alimentati in modi diversi: batterie, certamente, ma anche full hybrid con generatori a bordo mossi da motori a combustione interna stechiometrici, a regime fisso, con emissioni bassissime, se non zero, alimentati da carburanti che non siano benzina o diesel. Ancora, combinazioni batterie-generatori, celle a combustibile, idrogeno. Gli scaffali sono zeppi di tecnologie pronte per l’uso.
L’architettura tradizionale, basata su pochi, grandi punti di produzione che richiedono una massiccia rete di distribuzione, non è applicabile.
Occorre ottimizzare il sistema di produzione, armonizzandolo con le nuove necessità di distribuzione e consumo, aggiungendo, a quello esistente, un approccio del tutto nuovo: atomizzato, locale, comunitario.
Si deve ragionare in termini di sistema complesso, considerando tutte le componenti e il ciclo completo: dalla fabbricazione al fine vita. Cosa ne faremo delle batterie non è chiaro. Quanto si potranno riciclare, a che costi, con quale impatto ambientale? Stesse considerazioni valgono per i pannelli fotovoltaici, così come per tutte le altre possibili scelte.
Una possibile soluzione?
In Italia ci sono 22mila e seicento stazioni di servizio. Se ognuna di esse diventasse un punto di produzione elettrica, installando una capacità pari a 1 MW, avremmo a disposizione 22,6 GW aggiuntivi. Il che su base annua, ipotizzando le solite 8mila ore di funzionamento, danno 200,8 TWh per anno.
Obiezione: non tutte le stazioni di servizio sono grandi abbastanza per installare un sistema di produzione, ad esempio una turbina a gas, o pannelli solari, o una pala eolica, o una combinazione di queste tecnologie.
Obiezione accettata. Basta che una ogni 5 sia in grado di farlo per garantire i 40 TWh anno richiesti dalle vetture. Più o meno quello che serve.
L’energia viene prodotta in cogenerazione, quando possibile. Se viene prodotta acqua calda per il raffreddamento di turbina e generatore, la si può utilizzare per il teleriscaldamento delle abitazioni nelle vicinanze del punto di produzione. L’elettricità prodotta viene stoccata localmente in batterie. Il che, nel caso di uso di fonti rinnovabili, consente di superare il problema della loro periodicità. Se, per ipotesi, la produzione supera la capacità di stoccaggio, l’eccesso di energia può alimentare la comunità energetica locale.
Per fare il pieno del veicolo non si ricarica la batteria di bordo. Si cambia. Ci si ferma nell’area dedicata. La batteria di bordo viene fatta scendere al di sotto della vettura e viene sostituita in modo del tutto automatico e robotizzato, da batteria identica ma carica. Nessun bisogno di scendere dalla macchina. Identificazione dell’utente, gestione delle batterie, addebiti, vengono gestiti tramite WiFi, blockchain, cryptocurrency. Tempo necessario stimato: un paio di minuti, meno di quanto serve per fare il pieno di carburante.
Nulla di fantascientifico. Tutte le tecnologie necessarie sono già disponibili e collaudate.
Certo occorre cambiare la mentalità di chi produce carburanti, motori, cambi automatici, batterie, powertrain; modificare la testa dei gestori delle stazioni di servizio, delle reti elettriche, della produzione di elettricità, eccetera eccetera.
Metterli d’accordo, quella sì che è fantascienza.
Nessuno si deprima.
Le storie di fantascienza si basano su storie plausibili basate su azioni ed eventi possibili.
Potrebbe accadere. Anzi, deve accadere, altrimenti andremo a piedi.