Mai sentito parlare di PFAS? Si legge Pifas. Nemmeno io ne sapevo nulla, fino a che non ho letto i risultati del “Forever Pollution Project”, il progetto sugli inquinanti eterni. Un’inchiesta giornalistica, durata un anno, lanciata dalla francese Le Monde, dalle germaniche NDR (Norddeutsche Rundfunk), WDR (Westdeutscher Rundfunk Köln), Süddeutsche Zeitung e dalle italiane Radar Magazine e Le Scienze. Altre testate si sono poi associate al progetto, fino ad arrivare al totale di 17. Obiettivo: misurare il problema causato dai PFAS in Europa.
Mi aspettavo che qualcuno in Italia riprendesse il tema. Anche perché una buona dose di articoli sono “ispirati” da quanto pubblicato da altri giornali, da qualche parte.
Invece nulla. “Alles stille”, come piange Papageno.
Breve nota a margine. Sono andato a cercare sulla mitica Wikipedia la voce PFAS.
C’è scritto molto poco: “Per sostanza per- e polifluoroalchiliche (PFAS) si intende comunemente un fluoruro alchilico dotato di proprietà tensioattive.
Secondo l’OCSE, sono noti almeno 4730 PFAS distinti con almeno tre atomi di carbonio perfluorurati. Un database sulla tossicità, dell’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente degli Stati Uniti (EPA), DSSTox, elenca 14735 PFAS, PubChem addirittura circa 6 milioni”.
I PFAS conferiscono alle superfici idrofobicità e oleorepellenza. Vengono utilizzati per questo su tessuti, tappeti e pellami, carta. Sono usati come coadiuvanti tecnologici nella produzione di fluoropolimeri.
I PFAS sono stabili chimicamente e termicamente. Ciò causa la loro persistenza ambientale e la possibilità di accumularsi negli organismi, nei quali permangono per periodi prolungati. Sono Interferenti endocrini.
Alcuni tipi di PFAS, tra cui PFOA e GenX, possono essere distrutti riscaldandoli in dimetilsolfossido con idrossido di sodio”.
Interessante quanto evidenziato in apertura: “Questa voce sull’argomento è solo un abbozzo”.
Non solo è un abbozzo, ma è anche del tutto fuorviante. Non racconta le cose come stanno. I PFAS sono dei composti chimici inquinanti, ultra-tossici, dannosi per la salute dell’uomo, di fatto indistruttibili, eterni. Ce ne sono migliaia, se non milioni, nessuno lo sa per certo. In comune hanno una inalterabile catena di atomi di carbonio e fluoro che li rende indistruttibili da processi naturali. Si accumulano nell’ambiente, hanno grande capacità di diffusione dal punto di origine. Fanno male. Molto.
Un possibile perché di così tanta discrezione lo potrete dedurre dal riassunto che mi accingo a fare di quanto raccontato da Stéphane Horel, di “Le Monde”, il 23 febbraio scorso.
Dalla fine degli anni 1940, i PFAS vengono utilizzati per rendere antiadesivi, antimacchia, o impermeabili utensili e tessuti che usiamo quotidianamente. Teflon, Scotchgard, Goretex sono alcuni dei marchi più conosciuti. Sono migliaia i prodotti che ne fanno uso: tappeti, corde per chitarre, batterie per veicoli elettrici, vernici, trattamenti per l’acne, imballaggi per hamburger e patatine fritte, cavi elettrici, protesi per l’anca, filo interdentale.
Dopo avere effettuato prelievi ambientali, il progetto ha stimato che in Europa ci sono 17mila siti contaminati, di cui più di 2100 presentano livelli superiori di quanto considerato nocivo per la salute (più di 100 ng/kg, nanogrammi per chilo). Alcuni sono nelle vicinanze delle venti fabbriche di PFAS che il progetto è riuscito a localizzare perché non esiste una lista o una cartografia di tali impianti di produzione. Altri sono in prossimità delle 230 aziende identificate come utilizzatrici di PFAS.
Nel 2019, il Nordic Council, organizzazione intergovernativa che riunisce Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia, ha commissionato un rapporto all’avvocato Gretta Goldenman, specializzata in ambiente ed esperta dei PFAS. Dopo un anno di lavoro e un’impressionante raccolta di dati, il suo team non è riuscito a rispondere a due semplici e fondamentali domande: quanti impianti chimici producono PFAS in Europa e quante sono le fabbriche di Teflon o di Scotchgard.
Le risposte sono di massima importanza. I punti caldi più noti in Europa, esageratamente inquinati, hanno tutti impianti di produzione o utilizzatori di PFAS, come epicentro. Vedi l’azienda Miteni S.p.A. (Mitsubishi-EniChem), società chimica italiana, dal 2009 proprietà della WeylChem (ICIG), sita in località Colombara 91, 35070 Trissino (VI) che ha sintetizzato ed emesso un’intera gamma di PFAS per mezzo secolo. Sotto accusa per avere causato il maggiore disastro ambientale legato ai PFAS in Europa.
La contaminazione dell’acqua potabile, di falda e superficiale nelle provincie di Padova, Verona e Vicenza, scoperta nel 2013, si estende su oltre 200 chilometri quadrati, interessa una trentina di comuni veneti e fino a 350mila persone. Il 26 ottobre 2018 il consiglio di amministrazione della Miteni S.p.A. ha deliberato il deposito di istanza di fallimento. In Europa, in termini di densità di impianti di produzione, il primo posto spetta alla Germania con sei, seguita da Francia con cinque, Regno Unito con tre, Italia con due e poi Polonia, Spagna, Paesi Bassi e Belgio che ne hanno uno ciascuno.Tre di queste fabbriche sono oggi inattive, ma il loro inquinamento resterà attivo per sempre.
I PFAS sono ovunque: dal bel Danubio blu, al lago greco di Oristiade, dal fiume Bilina in repubblica ceca, al bacino del Guadalquivir spagnolo.
I PFAS sono ovunque: acqua, aria, pioggia, lontre, merluzzi, uova sode, adolescenti.
I PFAS sono ovunque: studi di biosorveglianza attestano che ognuno di noi, nessuno escluso, li ospita nel proprio sangue e fanno male. Molto.
Gli effetti, anche a basse dosi, dell’esposizione ai PFAS non risparmiano nessuna area del corpo o età. Diminuzione del peso alla nascita dei bambini, riduzione della risposta immunitaria ai vaccini; aumento del rischio di cancro al seno, ai reni o ai testicoli; malattie della tiroide; colite ulcerosa; aumento del colesterolo e della pressione sanguigna, preeclampsia (aumento della pressione arteriosa) nelle donne in gravidanza; rischi cardiovascolari.
Ogni anno i PFAS pesano tra i 52 e gli 84 miliardi di euro sui sistemi sanitari europei.
Perché non è mai stata effettuata in Europa una sistematica campagna di indagine per capire quanti e dove sono i siti altamente inquinati dai PFAS? Quali sono le sorgenti di tale inquinamento? Quali le conseguenze per la popolazione?
Non ci sono i dati. Quindi non c’è informazione.
Sono stati identificati solo una trentina di “hot spots”, i punti caldi di cui sopra, quasi tutti vicini ad aziende di produzione. Un’altra ventina sono stati individuati, in modo spesso fortuito, dove l’inquinamento è causato dall’uso dagli schiumogeni fluorosintetici antincendio di tipo AFFF (Aqueous Film Forming Foam). Aeroporti e basi militari ne fanno grande uso.
A proposito: l’ECHA, agenzia europea per le sostanze chimiche, ha proposto nel febbraio 2022 la loro (tardiva) messa al bando.
L’AFFF viene utilizzata per spegnere incendi di idrocarburi, dove l’acqua è inefficace.
Forma una coperta di schiuma che priva la combustione dell’ossigeno necessario per sostenerla. Il fuoco si spegne e i PFAS presenti nella schiuma percolano nel suolo, inquinano le acque sotterranee e finiscono nei rubinetti di casa.
“Abbiamo reso il pianeta piuttosto inospitale per noi”, osserva Ian Cousins, professore di chimica ambientale all’Università di Stoccolma, specialista in PFAS, “siamo al punto in cui le nostre risorse ambientali di base sono contaminate e lo saranno per molto tempo. Molto spesso, i livelli sono superiori a quelli considerati sicuri. Ora ci stiamo muovendo in uno spazio in cui non siamo più al sicuro”.
I PFAS costituiscono un “limite planetario”. Ian Cousins e i suoi colleghi, in un articolo pubblicato nell’agosto 2022 sulla rivista scientifica Environmental Science & Technology, mostrano che, ovunque nel mondo, la pioggia contiene concentrazioni di PFOA (acido perfluoroottanoico) superiori ai valori limite sanitari indicativi negli Stati Uniti.
Tra i 0,055 nanogrammi per litro (ng/l) registrati nella pioggia caduta in Tibet, dove nessuna fabbrica produce o utilizza PFAS, e i 68milioni 900mila ng/l registrati nelle acque sotterranee vicino allo stabilimento belga 3M di Zwijndrecht, dov’è il confine? Qual è il valore sicuro? Molti esperti suggeriscono come limite massimo un nanogrammo per litro. Tuttavia, negli Stati Uniti, 200 milioni di americani, ovvero quasi i due terzi della popolazione, consumano acqua che ne contiene di più. E in Europa?
L’inesistenza di banche dati contenenti la geolocalizzazione delle attività industriali in Europa rappresenta, insieme alla mancanza di trasparenza delle autorità, la principale difficoltà incontrata dal team di giornalisti investigativi che ha adattato la metodologia sviluppata dai ricercatori del PFAS Project Lab di Boston con i loro colleghi della PFAS Sites and Community Resources Map per mappare l’inquinamento negli Stati Uniti.
Sono comunque riusciti a localizzare migliaia di siti in tre tipologie di attività “presunte contaminanti”: siti per lo stoccaggio e lo scarico di schiuma antincendio, siti per il trattamento dei rifiuti e delle acque reflue e siti industriali. Questi ultimi sono circa 3mila stabilimenti, di cui più di mille cartiere e circa 800 siti di attività manifatturiere e di lavorazioni metalliche. Parliamo ora di denaro. Gretta Goldenman, già menzionata, ammette senza mezzi termini che la cifra di 170 miliardi di euro per riparare il danno ambientale causato dai PFAS in tutta Europa, indicata nel suo rapporto, commissionato nel 2019 dal Nordic Council, è grossolanamente sottostimata. Per Martin Scheringer, ricercatore di chimica ambientale presso il Politecnico Federale di Zurigo (Svizzera), “le dimensioni di questo problema sono così gigantesche che è semplicemente impossibile quantificarle“.Qualche esempio:
- Gestire la contaminazione dell’acqua bevuta da 1,2 milioni di persone intorno all’aeroporto di Düsseldorf: 100 milioni di euro.
- Filtrare l’acqua nelle tre provincie venete coinvolte: oltre 16 milioni di euro.
- Disinquinamento degli aeroporti civili e militari in tutta Europa: 18 miliardi di euro.
Una domanda sorge spontanea: Chi è il responsabile?” Risposta molto difficile. Così come le compagnie petrolifere con il cambiamento climatico, l’industria chimica sa molto del problema PFAS da molto, molto tempo. Dal 1961, quando DuPont e 3M vennero a conoscenza della tossicità del PFOA, come dimostrato da documenti interni resi pubblici a seguito di cause legali negli Stati Uniti. Le autorità pubbliche sanno del pericolo almeno dal 2006, data della graduale fine di produzione del PFOA richiesta dalle autorità americane.
Quindi, la responsabilità è dell’industria chimica o dello Stato?Di certo nessuno fino a oggi è finito in carcere per aver commesso questa contaminazione epocale, senza dubbio eterna, ma può essere definita un crimine?
Professoressa di diritto all’Università Erasmus di Rotterdam (Paesi Bassi), Lieselot Bisschop è particolarmente interessata al concetto di “reato aziendale facilitato dallo stato”, concetto indispensabile per perseguire i danni all’ambiente e alle persone causate dalle aziende, nel contesto dell’inquinamento da PFAS. Il concetto fa riferimento a “situazioni in cui le istituzioni governative non riescono a regolamentare attività commerciali illegali o socialmente dannose, o altrimenti creano un ambiente legale che consente a questi danni di verificarsi e continuare”, spiega. Attività spesso terribili, ma legali. Per molto tempo le autorità non hanno considerato queste attività un crimine, ma un fattore di sviluppo e fonte di ricchezza. Atteggiamento che ha indotto, negli ultimi cinquanta o sessant’anni, errori enormi.Errori che si sono trasformati in crimini. Le vittime siamo tutti noi.
P.S. Si ringrazia “Le Monde” e Stéphane Horel per l’articolo pubblicato il 23 febbraio 2023.