La notizia delle dimissioni del professor Roberto Baldoni non sorprende più di quanto possa aver fatto l’annuncio della sua originaria nomina.
Adesso che è stato premuto il pulsante OFF, il Governo prenda con calma la decisione di pigiare ON e approfitti della imbarazzante situazione per stabilire l’effettiva utilità della Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale.
Analogamente alla storica contrarietà di Massimo Boldi nei confronti della pentola a pressione, non ho mai manifestato una grande simpatia per l’istituzione di un organismo che faceva le scarpe a tutte le entità che da tempo si occupavano di certi problemi. La scelta del Governo di allora fu quella di rottamare il lavoro – portato avanti per anni e colpevole solo di non essere stato adeguatamente raccordato – delle Forze Armate e di Polizia, dei Servizi di Intelligence, degli Atenei, dei Consorzi di studiosi ed esperti e dei Centri di ricerca.
Ad un certo punto – dopo gli scarsi risultati conseguiti al DIS come vicedirettore con delega alla sicurezza cibernetica – qualcuno ha intravisto nell’esimio professore di ingegneria informatica il Messia che avrebbe salvato il Paese da una minaccia incombente.
Se è inutile ripercorrere l’impietosa sequenza di incidenti (e di brutte figure) che hanno costellato l’Italia, isole comprese, va detto che oltre alla pizza e ai mandolini il nostro Paese vanta una consolidata tradizione nell’individuazione del “wrong man in the right place” ossia della persona sbagliata nel posto giusto.
Sul palcoscenico della cybersecurity era echeggiata la scelta dell’imprenditore Marco Carrai fortemente voluta dall’allora premier Matteo Renzi e di cui ebbi modo di scrivere su Il Fatto Quotidiano il 18 gennaio 2016 (Marco Carrai a capo degli 007, i computer di Caligola e il rischio cyber) e poi di nuovo quattro giorni dopo (Carrai, Anonymous e il sensazionale gratuito: lasciate a Cyber quel che di Cyber).
Ci si è progressivamente inebetiti fino a gioire della disponibilità di una struttura formalmente salvifica.
Non voglio tediare nessuno con le stesse cose che ripeto da troppo tempo, ma mi farebbe piacere che qualcuno tornasse a leggere – a mero titolo di esempio – quel ho scritto il 9 agosto 2021 (Arriva l’Agenzia Cyber ma non cambierà nulla), l’11 febbraio 2022 (Cybersecurity: con calma, mi raccomando, con molta calma…), il 18 aprile 2022 (Agenzia Cyber: perdonatemi ma l’operatività è un’altra cosa), il 14 maggio 2022 (Chi pagherà per gli attacchi hacker all’Italia?) e così a seguire….
Non c’è alcuna necessità di inventarsi nulla. Il momento è propizio per riflettere davvero, una volta per tutte, sul da farsi. Il tempo delle cazzate è finito.
La Presidenza del Consiglio dovrebbe dotarsi di un manipolo di consiglieri indipendenti (dalla politica e dall’industria) in grado di guidare in modo disinteressato le scelte di governo. Magari gente asprigna, ma leale. Personaggi qualificati anche se apparentemente insopportabili. Figure professionali che sappiano gestire gli aspetti strategici e tattici sotto il profilo organizzativo, tecnico e legale, portando al coordinamento degli sforzi buttati nel cestino ma ancora recuperabili. Sono sicuro che soggetti di quel tipo li si può trovare disponibili a prestare la propria opera anche gratuitamente perché è in gioco il futuro della Patria e non una sistemazione dalla retribuzione stellare.
La chiusura dell’Agenzia sarebbe la pietra tombale sui disequilibri retributivi tra chi gode di stipendi da Banca d’Italia e chi – soldato o sbirro – faceva e potrebbe tornare a fare un mestiere che conosce meglio del neolaureato suggerito da qualche sponsor.