La posizione geopoliticamente strategica – nel cuore del Pacifico – dell’Isola di Formosa, nota anche come Repubblica di Cina o semplicemente Isola di Taiwan, ha fatto sì che questo territorio fosse conteso e colonizzato per la quasi totalità della sua storia.
Dopo la colonizzazione delle Indie Olandesi, risalente al XVII secolo, l’isola passò sotto il controllo nipponico – trattato di Shimonoseki del 1895 – successivamente alla vittoria della prima guerra sino-giapponese, quando la Dinastia Qing cedette Taiwan al Giappone.
L’evento che segnò la cesura delle divergenze taiwanesi, tuttavia, risale al 1949, anno della celebre rivoluzione cinese, che vide la sconfitta del Kuomintang di Chiang Kai-shek per opera delle forze maoiste.
Nell’Isola di Formosa emigrò poi il Partito Nazionalista Cinese che, sotto l’egida del suo leader Jiang Jieshi, istituì la Repubblica di Cina, dando così vita alla costante ossessione cinese per la riconquista della provincia ribelle di Taiwan, che sussiste ancora oggi, e che può essere racchiusa nelle fredde ed inequivocabili parole di Xi Jinping: “Taiwan must and will be reunited with China”.
Il dibattito circa lo status politico di Taiwan è ancora vivo: si tratta essenzialmente di uno stato indipendente de facto ma non de iure, teatro di scontro sino-americano, soggetto a pressioni cinesi su Stati terzi – come il Burkina Faso, la Repubblica Dominicana o l’Eswatini, – per spingerli a porre fine a relazioni diplomatiche con l’Isola, oltre che per escluderla dall’attenzione di organismi internazionali.
Nonostante ciò, lo Stato di Taiwan gode ancora del sostegno internazionale di potenze come Giappone e Stati Uniti, anche se entrambe, senza alcun dubbio, interessate a secondi fini.
Da un lato Washington, sulla carta, ritiene ancora disputo lo stato di Taiwan per non danneggiare ulteriormente il rapporto con la Cina, ma nella pratica intrattiene relazioni diplomatiche ed effettua esercitazioni con cacciatorpediniere; dall’altro, la classe dirigente nipponica, in virtù del vecchio legame coloniale risalente alla fine del XIX secolo, invoca pace e stabilità nello Stretto, conscia del fatto che l’appoggio a Taiwan potrebbe risultare un’arma utile per arginare l’ascesa della RPC.
Tuttavia, il punto nevralgico di questo intreccio geopolitico vero e proprio, è costituito dal potenziale economico che possiede l’Isola: la centralità delle aziende taiwanesi nella produzione di semiconduttori – basti pensare che la sola azienda asiatica Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC) ha un capitale di 500 miliardi di dollari – ha fatto sì che, oltre alla questione etnica, questo territorio sia al centro dell’attenzione anche per la sua consistente rilevanza economica e produttiva.
Oltre al colosso già citato, la United Microelectronics Corporation (UMC) e la MediaTek hanno incrementato la già forte capacità di produzione e la posizione strategica di Taiwan nella catena di approvvigionamento di microcomponenti che, sostanzialmente, è il core della tecnologia moderna.
La rilevanza di Taiwan nel mercato dei semiconduttori è aumentata ancora di più negli ultimi anni, a causa della crescente domanda di questi prodotti in settori come l’automotive, l’elettronica di consumo, l’informatica e la telefonia mobile.
Inoltre, la pandemia da COVID-19 ha aumentato la domanda di semiconduttori per dispositivi e tecnologie di comunicazione a distanza, spingendo all’aumento della produzione di queste componenti.
Il carattere decisamente transnazionale di questo settore produttivo taiwanese di microcomponenti ha attirato l’attenzione del Dragone sulla tigre asiatica, pur beneficiando per anni – nonostante le parole di Xi – del know-how taiwanese di settore, temendo un ipotetico isolamento internazionale qualora avesse deciso di riconquistarla.
Nelle mire geopolitiche delle due superpotenze, USA e Cina, vi è un’isola, la Repubblica di Cina, che tramite il proprio potenziale tenta di preservare il suo status quo – articolato da complessità diplomatiche, storiche e culturali – e rivendicando di essere “molto più” che una semplice pedina contesa dalle grandi Nazioni.