Venerdì 31 marzo 2023. Quotidiano “La Stampa”, pagine 24-25. “Intelligenza inarrestabile” a firma Riccardo Luna.
Non mi sono mai permesso di criticare quanto scrivono altri che si occupano di divulgazione scientifica.
Però c’è sempre una prima volta.
Troppe imprecisioni, troppo folklore, anche se si tratta di un semplice racconto.
Caro Riccardo, i programmi per calcolatori elettronici che utilizzano algoritmi di intelligenza artificiale generativa, non sono una rivoluzione tecnologica. Si tratta di un ulteriore passo evolutivo di qualcosa di ormai antico. Di intelligenza artificiale, delle sue possibili applicazioni, ne parlava e scriveva programmi il Nobel Herbert Simon già nel 1955. Sessantotto anni fa.
Tecnologia e innovazione, come tu scrivi, non sono superpoteri per fare meglio le cose che vogliamo fare. Sono metodi e strumenti per amplificare le capacità, le abilità dell’essere umano. L’agricoltura ha permesso di aumentare la funzione dei piedi dei raccoglitori e cacciatori del neolitico: a parità di spostamento si aveva a disposizione molto più cibo. Le macchine, a vapore prima, elettriche e a combustione interna poi, hanno amplificato le nostre capacità muscolari; le telecomunicazioni hanno amplificato i nostri sensi, in primo luogo vista e udito; il digitale permette di aumentare le nostre capacità intellettive, mentali.
“Tecnologia” deriva dal greco Tèchne, (τέχνη). Si traduce con “arte”. Arte nel senso di “perizia”, “saper fare”, “saper operare”, ovvero insieme delle norme applicate e seguite in un’attività, sia essa esclusivamente intellettuale o anche manuale.
Tali norme possono essere acquisite empiricamente in quanto formulate e trasmesse dalla tradizione, ad esempio nel lavoro artigianale, o applicando conoscenze scientifiche specializzate e innovative quando si verifica il passaggio dalla manifattura alla produzione industriale”. Grazie Wiki. Poco intelligente e molto pratica.
Dunque tecnologia è l’arte del sapere fare, spesso senza conoscerne il perché. Abbiamo fuso metalli, creato leghe, definito artefatti senza avere nessuna conoscenza di termodinamica, metallurgia, chimica o scienza dei materiali. Si ha innovazione quando si trova il modo di generare nuova ricchezza, nuovo valore aggiuntivo e non sostitutivo. Per ora non è chiaro quale sia il nuovo valore generato da applicativi quali ChatGPT o Bard.
Scrive Riccardo Luna: “… Ma questa volta l’onda che sta arrivando sembra diversa dall’invenzione delle macchine a vapore o dell’elettricità o del personal computer e il word wide web che hanno caratterizzato le precedenti rivoluzioni industriali”.
Spero non me ne voglia, ma le cose non stanno così. Si confonde il concetto delle onde di innovazione con quello di rivoluzione. Procediamo con ordine.
Certo, la macchina a vapore è stata inventata, ma non è corretto affermare che la macchina a vapore sia un’invenzione. Non è mai esistito un inventore della macchina a vapore. Come dite? Dite che è stato James Watt? Falso. James Watt ha messo a punto il regolatore della pressione del vapore. Ultimo passo di un processo evolutivo che ha richiesto 17 secoli, più o meno. La prima rudimentale macchina vapore, la Eolipila (dal greco antico Αἴολος e dal latino pila, traducibile come «sfera di Eolo») o motore di Erone, venne descritta da Vitruvio nel suo trattato De architectura fra il 30 e il 15 a.C.. La macchina a vapore non è stata l’invenzione di un singolo individuo, ma la combinazione vincente di una serie di contributi resi possibili dallo sviluppo di una filiera tecnologica complessa. Sviluppo alimentato, come sempre accade, da motivazioni politiche, economiche e sociali. Mai, nella storia dell’uomo una rivoluzione è stata innescata da una tecnologia.
Non è vero che si sia inventata l’elettricità. L’elettricità venne scoperta circa 2000 anni fa. Nel 600 a.C., il filosofo greco Talete studiò le proprietà dell’ambra (in greco: ἤλεκτρον, “elektron”, da cui deriva il termine “elettricità”). Solo nel XIX secolo si iniziò a studiarla in modo scientifico. Poi sono stati definiti modi di uso e dunque le innovazioni.
Il personal computer o il World Wide Web non hanno caratterizzato rivoluzioni industriali.
Esiste una sola rivoluzione industriale, nell’accezione di emergenza di un nuovo paradigma politico, economico e sociale, a seguito di un processo avviato intorno alla seconda metà del XIX secolo. Alcuni parlano di due fasi della rivoluzione industriale. La prima interessò prevalentemente il settore tessile-metallurgico con l’introduzione della spoletta volante e della macchina a vapore. La seconda fase viene fatta convenzionalmente partire dal 1870 con l’introduzione dell’elettrificazione e dei motori elettrici, dei prodotti chimici e del petrolio.
Per completezza dell’informazione, talvolta si parla di terza fase, a partire dagli anni 1970, per riferirsi agli effetti della diffusione delle tecnologie delle telecomunicazioni e dell’informatica.
Le fasi della rivoluzione industriale sono state causate e alimentate da una successione di ondate di innovazione tecnologica, il cui periodo, come notato prima da Kondratieff e poi da Schumpeter (Nikolaj Dmitrievič Kondrat’ev, economista sovietico,1892–1938; Joseph Alois Schumpeter, economista austriaco, 1883–1950), è di circa cinquant’anni.
L’intelligenza artificiale fa parte dell’ultima ondata, o meglio dell’ultimo fronte d’onda composto dall’insieme delle tecnologie e delle applicazioni digitali.
Spero non me ne voglia Riccardo Luna, ma le attuali intelligenze artificiali generative non comprendono, nel senso di capire, proprio nulla. Non manipolano il linguaggio umano. Riescono solo a imitare, su base statistica e di probabilità, modelli di composizione delle frasi.
Faccio rispettosamente notare che sul quotidiano già citato, a fianco del racconto di Riccardo Luna, nel corso dell’intervista rilasciata da Luciano Floridi, docente di filosofia dell’informazione a Oxford, a Francesco Rigatelli, il professor Floridi dichiara: “ChatGPT-4 non ha capacità di capire, cambiare opinione o evitare frasi sconvenienti”.
Sono, per quello che vale, del tutto d’accordo con quest’ultima affermazione.
Non sono invece per nulla d’accordo sul fatto che il linguaggio sia il sistema operativo degli esseri umani. Siamo molto di più di una macchina, per quanto complessa. Descriverci in termini solo razionali e materiali è un’approssimazione eccessiva. Siamo un sistema dissipativo al non equilibrio, nella definizione del Nobel Ilya Prigogine, che richiede descrizioni basate sulle scienze fisiche, biologiche, umane e spirituali. Oltre a funzionare, abbiamo uno scopo, individuale e forse universale. Vale la pena andare a rileggere “Global Mind Change” di Willis Harman, che di tutto ciò parla già nel 1988.
Mentre sono del tutto d’accordo con Riccardo Luna quando scrive “Questa cosa (NdA: lo sviluppo dell’intelligenza artificiale) non si può fermare”, sono però di avviso drasticamente opposto quando afferma “provare a fermarla sarebbe un favore alla Cina che, dopo avere stravinto le battaglie del social network con TikTok, su questo terreno arranca”.
Falso. La Cina, o meglio la Repubblica popolare di Cina, mai mancare di rispetto, non arranca per niente.
I ricercatori del dipartimento di scienze informatiche, in particolare robotica e intelligenza artificiale, della Tsinghua University di Pechino, sono leader mondiali. Un paio di incollature davanti ai colleghi del resto del mondo. Il prestigioso MIT, Massachussetts Institute of Technology di Cambridge, USA, non ha ancora digerito di avere perso la prima posizione nelle classifiche mondiali.
BAIDU, l’analogo cinese di Google, ha speso miliardi per finanziare Ernie, la sua versione di ChatGPT. Attenzione, non si tratta di una copia, ma di una soluzione originale, addestrata da anni, utilizzando la seconda popolazione mondiale in termini di numeri.
Basta con questi continui richiami a contrapposizioni frontali. Sempre alla ricerca di un nemico, meglio se cattivo.
Non serve a nulla.
No, non è vero. Serve a sprecare risorse e a perdere tempo (oltretutto la risorsa più preziosa in assoluto, perché limitata, non rinnovabile e non sappiamo quanto ne abbiamo).
Basta con queste continue richieste di regolamentazioni, che altro non sono che vincoli e ostacoli. Regole che vale la pena occorre conoscere solo per avere il piacere di infrangerle. Odio i paletti. Detesto i muri. Non amo i cancelli.
Occorre incontrarsi. Comunità scientifica e umanistica, politici, economisti, filosofi, teologi delle religioni principali: del Libro, induismo, buddismo, shintoismo, confucianesimo e taoismo.
Dobbiamo parlare, dialogare, litigare e discutere. Soprattutto pensare. Ragionare di etica, di valori, di princìpi, di ciò che ci rende umani appartenenti a società possibilmente civili, libere e democratiche.
Dobbiamo progettare il futuro per poi realizzarlo.
Insieme.
Troviamo un terreno neutro, di grande prestigio e sicura credibilità.
Una proposta: la secolare Pontificia Accademia delle Scienze. Applichiamo il suo schema, ovvero una settimana di conferenza, seguendo la regola di base, simile a quella della Chatham House: “i partecipanti sono liberi di utilizzare le informazioni ricevute, ma né l’identità né l’affiliazione del/dei/della/delle relatore/relatrice/i, né quella di qualsiasi altro partecipante, possono essere rivelate”.
Tutto ciò che verrà pubblicato sarà sintesi di quanto discusso in aula; nulla, con l’approvazione dei partecipanti, sarà lasciato nella sua forma originale.
Si può fare. Se serve, pronto a dare una mano a organizzare il tutto.
Ricordando la nota scritta, la notte prima di essere ucciso in un duello, forse finto, dal matematico Évariste Galois a margine del lavoro di teoria dei gruppi su cui stava lavorando, cui serviva un’esposizione più completa e chiara.
Era certo che sarebbe morto.
Scrisse: “Non ho tempo”. Aveva 20 anni.
Anche noi non abbiamo tempo.