Il mito del multitasking per produrre di più sul lavoro pare proprio essere stato sfatato. Non siamo progettati per processare in maniera efficiente più attività nello stesso momento e quindi forniamo prestazioni migliori se di cose ne facciamo una per volta.
Questo significa che quando ci costringiamo a lavorare in multitasking facciamo più fatica, ci stanchiamo prima, la nostra attenzione sulle singole attività è minore e aumentiamo la probabilità di commettere errori.
Le macchine sono state progettate per fare più cose contemporaneamente, con grande precisione e velocità impressionanti, quindi lasciamo a loro il multitasking e noi concentriamoci su una cosa per volta, mettendole ordinatamente in agenda, prevedendo il tempo che serve (la quantità del tempo) e scegliendo il momento, il luogo e il setting degli spazi più adatti (la qualità del tempo).
La cosa da fare è quindi mettere in fila le attività in agenda, una dietro l’altra, e decidere quanto tempo ci serve. Facile no?
Ma perché allora il più delle volte, anche se programmiamo il tempo che siamo certi ci servirà per svolgere le nostre attività, alla fine siamo sempre di corsa e affannati?
Il primo motivo è che siamo noi che lasciamo spazio alle distrazioni. Chiudere la posta elettronica, silenziare il telefono, scegliere il posto giusto per avere tranquillità sono tutte cose nella nostra responsabilità. Se per un paio d’ore non siamo facilmente raggiungibili non casca il mondo. Lasciare agli altri la possibilità di distrarci è una scelta.
Il secondo motivo si chiama attenzione residuale. Secondo uno studio di Sophye Leroy citato nell’interessante libro Deep work: Concentrati al massimo “quando passiamo da un’attività A a un’attività B, l’attenzione non si sposta immediatamente. Un’attenzione residuale rimane bloccata nell’attività precedente.” Il link dell’articolo di Sophie Leroy lo trovate qui sotto.
Anche diverse altre ricerche scientifiche (sempre qui sotto i link a due articoli originali) dimostrano come passare da una attività ad un’altra richiede tempo per trovare la giusta concentrazione ed è fonte di stress. Quanto sia questo tempo e quanto lo stress, dipende dalle caratteristiche personali e dalla capacità di recupero della piena concentrazione di ognuno di noi.
Teniamolo quindi presente quando organizziamo la nostra agenda. Non è possibile chiudere un’attività e aprirne un’altra istantaneamente, serve sempre un intervallo di tempo ragionevole per concludere la prima, fare ordine mentale (l’equivalente dell’ordine della scrivania), portare l’attenzione sulla nuova attività e raggiungere nuovamente il livello di concentrazione ideale. Allenarsi a farlo in maniera ordinata e disciplinata ci può aiutare a migliorare la nostra efficienza.
Provate ora a immaginare l’impatto sulle nostre performance cognitive dei continui cambiamenti di attenzione per telefonate, messaggi WhatsApp, notifiche mail in arrivo sul nostro smartphone.
Facciamo di conto…
Nel 2014 uno studio su Cognition: International Journal of Cognitive Science ha stimato fra 5 e 15 minuti il tempo di transizione fra due attività. Se il tempo di recupero della piena concentrazione fosse di 10 minuti e se in un’ora ci arrivassero una telefonata e due messaggi WhatsApp ai quali diamo immediata attenzione, in un’ora di lavoro quanti minuti di piena concentrazione perderemmo?
Da qui nasce un’altra indicazione da tenere presente nella pianificazione delle nostre agenda: organizziamoci per dedicare periodi di tempo più lunghi ad attività importanti che richiedono grande concentrazione, sono quelle per le quali l’impatto dell’attenzione residuale è maggiore. Non spezzettiamole, la qualità del nostro lavoro aumenterà e ci stancheremo meno.
IN SINTESI
- Evitiamo il multitasking e scegliamo di ridurre al minimo le distrazioni.
- Pianifichiamo la nostra agenda tenendo presente per ogni attività il giusto tempo.
- Non spezzettiamo troppo le nostre attività in agenda e dedichiamo a ciò che richiede grande concentrazione periodi di tempo più lunghi.
Per concludere, ciò che scrivo va preso per quello che è, un’esperienza personale messa a fattor comune per poter scegliere, se c’è, qualcosa di utile per voi.
Tre letture per chi ha voglia di approfondire:
- Why Is It so Hard to Do My Work? The Challenge of Attention Residue when Switching Between Work Tasks di Sophye Leroy, New York University.
- The Effects of Task Interruption on Human Performance: A Study of the Systematic Classification of Human Behavior and Interruption Frequency di Byung Cheol Lee e Vincent G. Duffy, pubblicato in Human Factors and Ergonomics in Manufacturing & Service Industries 25 (2) 137–152 (2015) – Wiley Periodicals, Inc.
- The Cost of Interrupted Work: More Speed and Stress di Gloria Mark, Daniela Gudith e Ulrich Klocke, presentato alla Conference on Human Factors in Computing Systems, tenutasi a Firenze nell’aprile del 2008.
I PROSSIMI SUGGERIMENTI
- La nostra agenda non sia un segreto, collaboriamo!
- Tre parole chiave per la gestione dell’agenda.