La National Eating Disorder Association (NEDA), organizzazione americana che offre servizi a chi soffre di disturbi alimentari, ha pensato di ottimizzare i servizi sostituendo la “Help Line” di persone in carne ed ossa, umane, empatiche e pronte all’ascolto, con una “chatbot”, servizio automatizzato online che dovrebbe rispondere in automatico a tutte le domande degli utenti.
Peccato che le risposte automatiche, lungi dal soddisfare i quesiti degli associati, hanno pure dato consigli controproducenti, in totale contrasto con i principi dell’associazione stessa.
A chi soffre lo stigma del sovrappeso, il bot alimentato da intelligenza artificiale ha pensato bene di consigliare una riduzione delle calorie o di iniziare una dieta. A chi non soffre di disturbi alimentari può sembrare un consiglio sensato, ma non è così.
“C’è un legame diretto fra diete ripetitive e lo sviluppo di disturbi alimentari” dice Joshua Zimmerman, psichiatra specializzato nel trattamento di pazienti con disturbi alimentari. “Buona parte delle diete includono drastici tagli alle calorie e l’aumento di esercizio fisico. Il taglio delle calorie può ridurre il metabolismo, portare all’eccesso di fame, per riportare alla fame vorace e alle abbuffate incontrollate.”
Esattamente il comportamento che la stessa associazione chiede espressamente di evitare.
Il danno causato dalla National Eating Disorder Association è ancora più grave perché non stiamo parlando dell’ottimizzazione di servizi telefonici o di una chatbot di un e-commerce per scegliere prodotti o facilitare i pagamenti. Questa associazione si è scordata che il suo prodotto non è un frullatore o un’aspirapolvere ma un servizio legato alla salute delle persone e parte della cura è sapere che c’è qualcuno dall’altra parte pronto ad ascoltare, che il tuo sfogo o la tua richiesta d’aiuto è già l’inizio di un percorso. Che il disturbo alimentare è soprattutto psicologico.
La NEDA ha anche messo da parte le sue persone, perché il lancio del suo “chatbot” è stato preceduto dal licenziamento degli operatori delle linee telefoniche di assistenza che volevano unirsi in un sindacato.
La rivoluzione innescata da ChatGpt e gli spauracchi sui lavori che verranno spazzati via coincide con una crescente disaffezione verso tutti gli automatismi che riducono il contatto fra le persone.
Molte aziende affiancano ai loro servizi automatizzati la possibilità, a pagamento, di parlare con un operatore che si occupi di trovare una soluzione. In alcuni casi serve districarsi fra i primi messaggi “Premi tasto 1… premi tasto 2” per arrivare a “Premi tasto 9 per parlare con un operatore” e se si lavora spesso con lo stesso fornitore, si imparano le scorciatoie, siano esse la sequenza di tasti o la possibilità di dire, a voce “parlare con operatore”. Non è detto che le aziende non possano addirittura aumentare il loro fatturato con una linea più cara con operatori che rispondono al primo squillo. Specialmente nei paesi con i più alti tassi di longevità, anche gli anziani che nei prossimi anni saranno sempre di più digitali nativi, il servizio vero sarà sentirsi in compagnia anche quando si ordina il pasto con il delivery e un anziano che soffre di solitudine pagherebbe anche per fare due chiacchiere.
Ma quando l’azienda che cura la mente e il corpo propone il chatbot perché non capisce che la gente, ancor prima del consiglio pratico, vuole essere ascoltata, siamo alla frutta.
Prima è arrivato internet, poi l’e-commerce, adesso l’intelligenza artificiale che lavora sul “chatbot empatico”. Ad oggi è solo un ossimoro e forse lo sarà per tantissimo tempo.