Sabato 10 giugno scorso sono stato invitato a partecipare – da spettatore – ad un incontro organizzato dall’Università Gregoriana con un gruppo di aziende nell’ambito della preparazione al Diploma di “Leadership and Management”.
Gli insegnanti e gli studenti del corso si sono confrontati con i manager aziendali in un dibattito molto interessante da farmi rimanere positivamente sorpreso per gli argomenti trattati. Quale naturale conseguenza ho deciso di scrivere qualcosa per ripercorrere, anche in base all’esperienza vissuta personalmente, il percorso intrapreso dalla nostra scuola nella preparazione dei giovani da immettere nel mondo del lavoro dal dopoguerra ad oggi.
Il primo che operò una vera e propria rivoluzione nel mondo della scuola fu, negli anni cinquanta, Don Lorenzo Milani che da prete e come buon seguace del Vangelo seppe testimoniare un amore speciale per gli ultimi.
Io, nel 1958, seguii particolarmente la sua storia poiché vivendo a Camerino ed essendo l’Arcivescovo di quella città – Giuseppe D’Avack – che scrisse la prefazione al suo libro “Esperienze pastorali” fui testimone, attraverso le pubblicazioni di articoli sui giornali locali, della battaglia che gli sferrò la Chiesa ufficiale come un pericoloso sovversivo creando un’ottenebrata censura ai suoi libri.
Per far entrare anche il lettore in quella particolare atmosfera che si creò in quel periodo voglio riportare integralmente parte di un articolo che Vittorio Citterich il 21 giugno 1958 scrisse sul giornale diocesano “L’Appennino camerte”: L’ingiustizia è cosa grave, in sé. Ma per il prete è ancora più grave che l’ingiustizia diffusa, secolare, gli tolga via il popolo, rischi di lasciarlo con la chiesa vuota, lo metta nella impossibilità di parlare ai giovani che si allontanano – forse per sempre – proprio quando si trovano impegnati, in modo più grave, nella vita, quando vanno nella fabbrica o partono in cerca di lavoro. Si comprende la “supplenza” di Don Milani, che ha costruito la “scuola popolare” e il suo sdegno è legittimo perché nasce dall’amore, la sua protesta è giusta perché è una dichiarazione di fedeltà al Vangelo.
Mi piace ricordare anche il manifesto che ha reso celebre in tutto il mondo Don Milani e la scuola di Barbiana. “Lettera a una professoressa” che ha lasciato segni profondi nella cultura e nella società, nonostante travisamenti e strumentalizzazioni.
Frutto di una scrittura collettiva sostenuta da un imponente lavoro preparatorio e di cesello linguistico, questo libro-icona rivendica il diritto allo studio di fronte a una realtà scolastica che riproduceva ferocemente le diseguaglianze sociali. E ancora oggi rivolge alla classe docente il suo appassionato appello morale e civile, il rivoluzionario messaggio di un sacerdote convinto che un maestro amante del vero e del giusto può cambiare il mondo.
Il merito di Don Milani fu quello di allargare la partecipazione scolastica anche ai ceti più poveri in un periodo in cui l’Italia aveva la percentuale di abbandono degli studi più alta di tutta l’Europa. Fu un grande e, per fortuna, anche la Chiesa moderna lo ha riabilitato completamente.
Il secondo colpo benefico all’allargamento della platea delle persone che partecipavano alla formazione scolastica glielo diede il Sindacato con le sue battaglie per raggiungere nel 1970 all’approvazione dello Statuto dei lavoratori il quale contiene una particolare legge nota come “Diritto allo studio (150 ore)”.
Fu così che anche la “scuola e la formazione professionale” entrò nel campo più ampio della convivenza in un Paese civile e presero corpo le tre parole del vivere in comune: uguaglianza, giustizia e democrazia. Anche la scuola e la formazione professionale non furono più a disposizione di una élite o di pochi fortunati (come me) che hanno avuto il privilegio di lavorare con aziende che curavano particolarmente i propri dipendenti considerandoli come “persone” nella sua globalità.
Infatti da quando fui assunto in Olivetti (quella di Adriano) nel 1959 fui costantemente impegnato a frequentare corsi di tutti i generi organizzati e pagati dall’azienda e la stessa cosa mi è capitata nelle due successive società per cui ho lavorato: la Philips e la Siemens.
La legge che aveva portato in dote ai lavoratori le 150 ore (un congedo retribuito da parte delle aziende per la formazione dei lavoratori) che allargò questo privilegio a tutti persiste ancora tra le pieghe degli attuali contratti. Naturalmente quando si rese operativa la legge fu grande festa e molta stampa raccontò fatti di persone che riuscirono a conseguire diplomi che fino ad allora erano stati solo un sogno.
Come già detto, prima che quel tipo di formazione come quella attuale dell’Università Gregoriana fosse in uso nelle università, solo alcune organizzazioni industriali illuminate tra cui Olivetti, Pirelli e IBM, capitanate da Confindustria si sono accollato il compito di sopperire alle carenze della scuola pubblica e privata italiana per fornire al Paese la formazione dei livelli più elevati di management per le aziende nazionali e, nel 1970 fondano l’ISTUD.
Un tale Istituto è visto come un centro di ricerca e sviluppo di conoscenza talmente all’avanguardia rispetto al panorama nazionale da essere un punto di riferimento come scuola innovatrice di pensiero prima ancora che come ente di formazione. Io posso dirlo con cognizione di causa per averlo provato, in quanto ho frequentato nel 1972 il suo VI° corso (mi ci mandò la Philips) e ne ebbi grandi benefici pratici di carriera.
Prima di concludere voglio accennare all’evoluzione che la scuola ha avuto nell’insegnamento delle lingue: ai miei tempi a scuola si studiava, oltre l’italiano il latino e il greco, oggi s’insegna una lingua obbligatoria (l’inglese) e una facoltativa (il francese o lo spagnolo). Così per l’immissione al mondo del lavoro ai giovani si può aprire un più ampio mondo del lavoro.
Infine non posso non segnalare che in Italia continua purtroppo ad esistere la divisione tra Nord e Sud e questa grande anomalia coinvolge anche il mondo della scuola soprattutto per l’abbandono scolastico. Tutti i Governi hanno tentato di risolvere il problema ma nessuno ci è riuscito completamente. Speriamo che, almeno nella scuola, ci riesca l’attuale Governo.
Come intenzione è stato annunciato dal Ministro dell’Istruzione un piano in 10 punti con adeguato investimento per riunire l’Italia e garantire pari opportunità d’istruzione agli studenti su tutto il territorio nazionale per essere preparati ad affrontare il mondo del lavoro senza differenze causate dal luogo di nascita.