Indiana Jones, l’iconico archeologo e cacciatore di tesori, è tornato sul grande schermo con Indiana Jones e il quadrante del destino. Il tanto atteso ritorno del personaggio che ha affascinato il pubblico per decenni si è tuttavia rivelato una delusione travolgente. Il film, diretto da uno Steven Spielberg ormai lontano dai fasti passati, si perde in una trama confusa e cliché, lasciando gli spettatori con l’amaro in bocca.
Uno dei principali difetti del film è il suo script scadente. La trama si sviluppa in maniera prevedibile e manca di originalità. La storia segue il solito schema degli altri film della serie, con Indy che parte alla ricerca di un oggetto prezioso – il Quadrante di Archimede – per sventare i piani di una forza malvagia. Questa formula, che in passato ha funzionato, risulta stantia e priva di freschezza in questo nuovo capitolo.
Nonostante il carisma indiscutibile di Harrison Ford nel ruolo di Indiana Jones, il personaggio perde in questo film tutte le caratteristiche che lo hanno reso un mito a cavallo degli anni Ottanta e Novanta. L’ombra di sé stesso, un vecchio professore divorziato e depresso che aspetta solo di morire, Indy è gratificato dagli autori da battute poco ispirate e una mancanza di coinvolgimento emotivo nelle situazioni più critiche. Gli altri personaggi presenti nella pellicola sono altrettanto piatti e privi di qualsiasi carisma. Non si crea alcun legame emotivo con loro, rendendo difficile per lo spettatore provare interesse per le loro avventure.
Il personaggio peggiore è senza dubbio quello di Helena Shaw, la giovane archeologa che nei desideri perversi di Kathleen Kennedy – già portaborse senza talento di George Lucas, assurta alla presidenza della Lucasfilm – avrebbe dovuto sostituire Harrison Ford nel ruolo di nuovo Indiana Jones. Phoebe Waller-Bridge, fallisce miserabilmente nel compito di interpretarla, nella stessa maniera imbarazzante con cui Daisy Ridley ha fallito nel sostituire Mark Hamill come nuovo rappresentante degli Skywalker nella saga di Star Wars.
La sua performance risulta forzata, poco convincente e fuori posto nel contesto del film, fallendo nel trovare il giusto equilibrio tra il tono avventuroso della pellicola e il suo stile comico. Lo spettatore in cerca dell’adrenalina e delle gag che hanno sempre caratterizzato la saga rimane infatti indifferente o, peggio ancora, imbarazzato.
in buona sostanza, l’ulteriore infame tentativo di Disney e Lucasfilm di far evolvere saghe acclamate attraverso la decostruzione dei loro personaggi più rappresentativi, e la loro sostituzione con nuovi eroi più allineati a quelli che nella percezione dell’odierna Hollywood sono le audience moderne, è un clamoroso quanto atteso flop.
Nonostante l’enorme attesa e l’immensa base di fan che circonda la serie di Indiana Jones, il film ha infatti fallito nel catturare l’interesse del pubblico e ha ottenuto risultati deludenti al botteghino nelle prime due settimane di programmazione. La situazione non sembra essere destinata a migliorare, data l’uscita nel weekend dell’ultimo capitolo di Mission impossible. Tom Cruise, reduce dall’immenso successo planetario di Top Gun: Maverick, difficilmente fallirà nel far compiere alla sua pluridecennale saga d’azione un ulteriore passo avanti nel cuore del pubblico.
Indiana Jones il quadrante del destino, costato circa 300 milioni di dollari, e gravato da oltre 400 milioni di spese di marketing promette di essere uno dei disastri finanziari più memorabili della storia del cinema. Ciò che rimane ancora stupefacente è come Kathleen Kennedy rimanga tuttora alla testa della Lucasfilms, dopo che la sua dissennata strategia decostruttiva – incomprensibile a questo punto, se non ad uno psicologo professionista – ha causato la distruzione negli ultimi anni del valore di saghe iconiche che costituivano brand di incomparabile forza e asset finanziari fondamentali per la compagnia.
L’uccisione di Indiana Jones, comunque, dovrebbe essere l’ultimo capitolo della sua disgraziata storia come CEO di una delle maggiori aziende di intrattenimento a livello globale. Per citare Tyrion Lannister, il potere risiede dove gli uomini credono che risieda, e la credibilità del suo potere scricchiola ormai da ogni punto di vista.
Rimanendo nell’ambito dei grandi film girati da Steven Spielberg, l’immagine che viene in mente è quella della Kennedy che nuota nell’acqua alta della sua incompetenza, mentre in sottofondo sale di volume la familiare, iconica ed inquietante musica de Lo Squalo.