Essendo anch’io tra gli anziani che hanno superato gli 80, posso tranquillamente raccontare come uno di noi si trovi in questa società in cui viviamo.
Dico male, in molti casi molto male. A parte le carenze del nostro Paese, che colpiscono principalmente chi non produce ricchezza (i pensionati) nei servizi di assistenza sociale in genere e nella previdenza, quindi soprattutto gli anziani, questi sono molto penalizzati dall’evoluzione tecnologica che ha dimenticato totalmente che l’innovazione deve ruotare attorno all’uomo e ai suoi bisogni.
Se la tecnologia avanzata non porta un reale beneficio alla comunità, ma addirittura, esclude dal beneficiarne una parte, quella più debole, è un’innovazione arida e senza umanità.
In effetti, l’evoluzione tecnologica in Italia è esplosa in una generazione senza un minimo di “umanesimo tech” importandola dagli Stati Uniti d’emblée. Questo ha creato un forte disorientamento negli anziani che l’hanno dovuta subire senza un’adeguata preparazione.
Spesso mi domando: se anch’io che provengo da cinquant’anni di lavoro nel settore dell’informatica, a volte sbarello nell’attuale società supertecnologica, dove non esiste più il contatto umano, i servizi pubblici si erogano esclusivamente online con le centinaia di password che ne condizionano l’accesso, come possono fare a sopravvivere gli altri miei coetanei, quelli che non distinguono un bit da un byte? La risposta è che vivono male, mi correggo, viviamo male. Perché se qualcuno si barcamena a fatica ad usare la tecnologia, altri non riescono a comprendere che una società come la nostra possa aver rinunciato alle ideologie, all’umanità e a tutti quei concetti che hanno rappresentato la base per superare i disagi del post-guerra e per alcuni anche della guerra: come la famiglia, il reciproco mutuo soccorso e, credetemi senza retorica, la Patria e i suoi simboli.
Ma non voglio sembrare uno che rinuncia al progresso, va bene la tecnologia che aiuta a vivere meglio ma non quella che diventa indispensabile per fare qualunque cosa, quella che ha sostituito ogni rapporto umano. Questo è quello che penso io, ma non sono solo.
Proseguiamo: oltre alle difficoltà pratiche, inoltre il maggior pericolo psicofisico per l’anziano viene dalla negazione degli stimoli e del coinvolgimento sociale, una situazione di cui soffre il 30% della popolazione anziana e che porta ad amplificare il dolore psicofisico. Secondo gli esperti, gli specialisti geriatrici, la malattia che rischiano gli anziani è l’apatia. Questo, anche dimostrato da studi recenti, è senz’altro il pericolo numero uno che incombe sulle persone anziane.
L’apatia – affettiva o comportamentale – indica l’assenza di adeguata risposta a vari stimoli; c’è ridotta iniziativa motoria ed emozionale. È il disturbo del comportamento più frequente nei pazienti anziani con declino cognitivo; ma non sempre è oggetto di valutazione clinica.
La scala per valutare l’apatia (denominata GDS-3°) si compone delle seguenti domande:
1. Ha smesso di fare attività piacevoli ed abituali?
2. Preferisce stare a casa piuttosto che far cose nuove?
3. Si sente pieno di energia? Il caso si aggrava se dall’apatia si passa pure alla depressione.
Il problema terapeutico dell’apatia dell’anziano non ha soluzioni sicuramente utili; alcuni interventi non farmacologici come la musicoterapia possono essere di aiuto anche per ridurre il fardello dell’eventuale caregiver. L’apatia è frequente negli anziani con declino cognitivo; il sintomo è molto più frequente se l’ambiente di vita del malato è scarsamente stimolante. L’attività motoria di vario tipo è raccomandata, in quanto un’apatia allo stato avanzato raddoppia il rischio di demenza e pertanto richiede adeguata attenzione e valutazione nel tempo anche da parte dei famigliari.
Ho lasciato per ultimo l’ulteriore problema che deve sopportare l’anziano: quello economico. Questo argomento posso trattarlo con grande esperienza in quanto vissuto personalmente: le risorse economiche dallo stipendio (emolumento) passano di colpo a quelle della pensione e creano una crisi talmente elevata nel livello di vita da risultare quasi insostenibile anche dal punto di vista psichico dell’anziano.
Infatti il dramma della situazione economica del pensionato emerge anche da uno studio Istat realizzato per indagare le condizioni di fragilità delle persone con più di 75 anni.
L’Italia, con una popolazione composta per il 23% da over-65, è il Paese più “vecchio” d’Europa. Gli over-75 sono quasi 7 milioni e di questi l’80% convive con almeno tre patologie croniche. Come se gli «acciacchi» dell’età non bastassero, molti di questi anziani non hanno a disposizione una rete di sostegno adeguata ai loro bisogni. In totale, sono 2,7 milioni le persone costrette a vivere senza aiuti di alcun tipo. Tra i molti problemi, preoccupano le condizioni abitative sfavorevoli, la povertà diffusa, le gravi difficoltà motorie e, in generale, tutte le compromissioni dell’autonomia nelle attività quotidiane e di cura della persona. Per chi vive completamente solo (circa 630 mila persone) o con un coniuge anziano, tutte queste problematiche sono esasperate. Di questi, circa 100mila vivono in carenza di risorse sociali, relazionali e con redditi molto bassi. Questa categoria è candidata ad affollare ospedali, Rsa e case di riposo, luoghi che con lo scoppiare della pandemia sono stati teatro di importanti focolai di coronavirus. Sebbene con la campagna di vaccinazione che va avanti a pieno ritmo i rischi legati al Covid-19 si stanno attenuando anche per i più anziani, secondo Commissione per la riforma dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria per la popolazione anziana, istituita presso il Ministero della Salute e presieduta da Mons. Vincenzo Paglia, sarebbe opportuno «sostenere gli anziani nelle loro abitazioni, anche attraverso un robusto supporto sociale ed economico», in un’ottica di «garanzia del diritto pienamente esigibile all’assistenza, secondo il principio dell’equità sociale». Indignata l’Unione consumatori, che parla di «dati vergognosi, non degni di un Paese civile» e sollecita il potenziamento «degli aiuti domiciliari per non costringere gli anziani a entrare nelle case di riposo».
Questa situazione di disagio causato dal passaggio dallo stipendio (emolumento) alla pensione l’ho provata anch’io e l’ho superata solo perché ho dato fondo ai risparmi accumulati in 50 anni di lavoro,
Non capisco comunque l’entità delle tasse (IRPEF) che gravano sulle pensioni (nel mio caso il 36%). Visto che l’erogatore delle pensioni, nel mio caso l’INPS, attinge dal fondo accumulato dai contributi pagati dal lavoratore durante tutto il periodo lavorativo e che sul denaro guadagnato il lavoratore ha già pagato le tasse, mi sembra esagerato ripagarne pure sulla pensione. O no?
Dulcis in fundo. Quella degli anziani è la categoria che ha pagato il prezzo più alto durante l’emergenza sanitaria. Si stima che dall’inizio della pandemia siano più di 70mila gli over-80 deceduti a causa di complicanze dovute al covid.