La RAI depenna Saviano dal palinsesto e subito infuriano le polemiche. Aride, come il clima politico e quello estivo vogliono.
L’esclusione dello scrittore viene giustificata da scelte aziendali, ma non sembra bastare. Da una parte e dall’altra, dimenticando che ad ogni cambio di fronte qualcuno della pregressa compagnia ne fa le spese, i piromani dell’opinione incendiano gli animi con le argomentazioni più diverse e avviano la caccia ai testimoni più autorevoli cui far rilasciare dichiarazioni sensazionalistiche dissetanti la pubblica curiosità.
E’ stata l’occasione per far dire a Carmelo Burgio, generale di corpo d’armata dei CC, che non ci sono tracce dell’apporto di Roberto Saviano alle indagini contro il crimine organizzato.
A quest’ultimo nessuno ha dato l’opportunità di controbattere in ordine all’assenza di un concreto contributo dell’Arma nella letteratura o nel giornalismo, ma se possiamo dare un calcio alla par condicio non è giusto prendere a pedate anche il buon senso.
L’equazione proposta al quisque de populo dal mainstream dell’informazione sospinta dall’Eolo governativo è di immediata percezione. Saviano doveva andare in onda con quattro puntate sull’universo criminale, Saviano non ha fatto nulla nella guerra contro camorra e mafia, Saviano è stato rimosso anche per carenza di titoli a dissertare di quei temi…
Il brusco ridimensionamento di Roberto Saviano, la cui vocazione è sempre stata quella di raccontare e non di svolgere attività di polizia giudiziaria, è – a mio umile avviso – iniquo e poco educativo.
La guerra contro la malavita ingegnerizzata non si combatte solo con l’M12 e il “mefisto” calzato in favore di telecamere. Non è una semplice sfida tra duellanti, tra il buono e il cattivo, ma un ben più complesso conflitto tra il bene e il male dove si attenuano i contorni di singoli eroi e criminali. I tanti martiri di questa contrapposizione sono l’indicatore di uno scontro episodico e non sistematico. Lo schieramento della legalità non vince se composto solo da valorosi magistrati e coraggiosi “sbirri” che non hanno paura pur sapendo di andare incontro alla morte. La compagine chiamata a sradicare il malaffare atavico è l’intera società, la stessa che si è abituata a sopportare le ingiustizie e a confondere i soprusi con una sofferta normalità.
In questo “esercito” ci sono anche Roberto Saviano e altri come lui, cui va il merito di aver spalancato la finestra non su un cortile ma su uno sconfinato orizzonte, di aver invitato la gente ad aprire gli occhi, di aver scoperchiato pentole che le Istituzioni forse hanno esitato a rendere accessibili alle persone comuni.
Non mi preoccuperei di “pesare” l’ingrediente “Saviano” nella ricetta per vincere il crimine organizzato. La sigla “QB”, quella che indica “quanto basta”, la applicherei anche a Don Ciotti e ai tanti altri che non impugnano una pistola per uccidere il policefalo mostro che stritola il Paese.
In una Repubblica in cui il Presidente – commemorando la strage neofascista della Stazione di Bologna – parla di “ignobili depistaggi”, sono costretto a mettere la querelle sull’autore di Gomorra in fondo alla graduatoria dei problemi da affrontare. Parlare di un “inutile” Saviano toglie il posto alle chiacchiere su chi nei ranghi del “law enforcement” non ha fatto il proprio dovere o ha tradito il giuramento prestato, come purtroppo la cronaca e i processi dolorosamente ogni tanto ci ricordano. L’eccessiva personalizzazione esclude la possibilità di considerare il “favoreggiamento” inconsapevole di chi quotidianamente si volta dall’altra parte e non denuncia… Preferisco chi parla di queste cose alla più ampia platea che finge di non vedere.
Si lavori per una reale coesione della collettività, perché la lotta ai clan mafiosi e camorristici o alle ‘ndrine comincia da genitori e insegnanti che devono essere capaci di instillare nei giovani i valori che sono gli anticorpi al delinquere o semplicemente al chiudere gli occhi.