Il caso del generale che, non trovando editore disposto a pubblicare il suo sfogo, produce in proprio un distillato di odio a 360° è drammaticamente speculare alla corsa a comprarne una copia su Amazon così da farlo divenire un best-seller in poche ore.
Questi siamo noi. Anzi, sono loro.
La rancorosa cornucopia di luoghi comuni è diventata – ancor prima di leggerla – la versione contemporanea di un “Mein Kampf” de noantri e nella gente “normale” (non quella ritenuta tale dall’autore) non ha innescato sentimenti di ribrezzo ma ha scatenato la paura più che fondata che esista gente che la pensi così, se ne vanti e faccia proseliti.
Non deve preoccupare il disdoro derivante alle Forze Armate, ma la profonda offesa alla civiltà che quelle oltre 370 pagine (proporzionali al presumibile disagio interiore di chi le ha scritte) hanno inferto con feroce disumanità.
Deve spaventare il pensiero contaminante e ancor più chi non ha alcun bisogno di contagi di sorta per condividere certe aberrazioni. Se esiste ancora l’apologia tra le condotte sanzionabili dall’ordinamento nazionale, qualcuno ne tenga conto.
Senza capacitarsene l’ufficiale dai trascorsi operativi in quella che un tempo era segnata sulle carte geografiche con la sigla “A.O.I.” (Africa Orientale Italiana) ha costretto i suoi connazionali a rammentare le atrocità e gli stupri fatti dalle truppe (agli ordini del Governo Crispi e, anni dopo, del Duce) desiderose di dimostrare la loro “superiorità”…
Autodichiaratosi erede di Giulio Cesare e pronto al rogo in veste di emulo di Giordano Bruno, il personaggio si qualifica autonomamente con queste bizzarre attribuzioni e quindi non merita commenti ulteriori.
Inquieta invece il fatto che la sua “opera” sia acquistabile fruendo del “Buono Cultura” e quindi a spese del contribuente, circostanza che meriterebbe un approfondimento e magari qualche azione correttiva.
Nel frattempo il Ministro Crosetto ha preso le distanze e invitato gli italiani a non speculare sulle “dichiarazioni a titolo personale” del militare in questione, annunciando l’apertura di un procedimento disciplinare.
L’istruttoria potrebbe cominciare andando a leggere le “note caratteristiche” redatte dai superiori dell’interessato che hanno valutato ogni aspetto del tizio, spalancandogli la strada verso i vertici dell’Esercito senza accorgersi di una certa predisposizione a “sentimenti forti”.
E’ certo vero che chiunque – anche chi veste in montura – ha diritto di esprimere liberamente le proprie opinioni. E’ altrettanto ineccepibile che chiunque debba rispondere di quel che altrettanto liberamente dichiara e delle conseguenze delle sue asserzioni.
A titolo di assaggio e perché ognuno possa fare le considerazioni in proposito non “de relata”, qui di seguito riporto il testo della quarta di copertina. Vale oltre qualunque crucifige che la più appuntita penna saprebbe scrivere per demolire il soggetto, la cui lunga dissertazione suona come un manifesto politico in vista di prossimi appuntamenti europei… Prima di lui un imbianchino austriaco si cimentò in analogo sforzo. Evitiamo che venga data “una seconda mano” di vernice…
Il titolo la dice lunga sul tenore e sui contenuti di questo libro. “Il Mondo al contrario” vuole infatti provocatoriamente rappresentare lo stato d’animo di tutti quelli che, come me, percepiscono negli accadimenti di tutti i giorni una dissonante e fastidiosa tendenza generale che si discosta ampiamente da quello che percepiamo come sentire comune, come logica e razionalità. “Cosa c’è di strano? Capita a tutti, e spesso” – direte voi. Ma la circostanza anomala è rappresentata dal fatto che questo sgradevole sentimento di inadeguatezza non si limita al verificarsi di eventi specifici e circoscritti della nostra vita, a fatti risonanti per quanto limitati, ma pervade la nostra esistenza sino a farci sentire fuori posto, fuori luogo ed anche fuori tempo. Alieni che vagheggiano nel presente avendo l’impressione di non poterne modificare la quotidianità e che vivono in un ambiente governato da abitudini, leggi e principi ben diversi da quelli a cui eravamo abituati.
Basta aprire quella serratura di sicurezza a cinque mandate che una minoranza di delinquenti ci ha imposto di montare sul nostro portone di casa per inoltrarci in una città in cui un’altra minoranza di maleducati graffitari imbratta muri e monumenti, sperando poi di non incappare in una manifestazione di un’ulteriore minoranza che, per lottare contro una vaticinata apocalisse climatica e contro i provvedimenti già presi e stabiliti dalla maggioranza, blocca il traffico e crea disagio all’intera collettività. I dibattiti non parlano che di diritti, soprattutto delle minoranze: di chi asserisce di non trovare lavoro, e deve essere mantenuto dalla moltitudine che il lavoro si è data da fare per trovarlo; di chi non può biologicamente avere figli, ma li pretende; di chi non ha una casa, e allora la occupa abusivamente; di chi ruba nella metropolitana, ma rivendica il diritto alla privacy.