L’episodio di Palermo, l’ennesimo, non induce a commenti ma ad allucinate constatazioni. Sono questi i nostri giovani?
Verrebbe da chiedersi cosa hanno insegnato loro i genitori e la scuola, come trascorrono la giornata quando non aggrediscono animalmente la sventurata di turno, cosa pensano di fare “da grandi” (oltre a proseguire la rispettiva carriera di carnefici inguinali).
Qualcuno invoca (e lo fa periodicamente in una sorta di gospel promozionale) rimedi farmacologici che frenino gli istinti ferali di chi ha dimostrato di essere indegno di appartenere alla razza umana. Nessuno, però, suggerisce (e magari implementa) un percorso educativo che “vaccini” la popolazione dei teen-ager che da piccoli stuprano e da adulti praticano il femminicidio come fosse una disciplina sportiva. D’altronde la nostra inciviltà ha lasciato per anni i suoi segni persino nel codice penale dove i “delitti d’onore” sono spariti solo nell’estate del 1981…
Quel che è accaduto non infervora solo quelli che si spellano le mani per applaudire l’eroe dell’intolleranza, audace nell’odiare chi è diverso per colore della pelle, per provenienza geografica, per orientamento sessuale, per presunta inferiorità di sorta.
Non bastasse un parterre educato con le inconcludenti chiacchiere da bar o – più recentemente – imbottito di idiozie grazie ai social e al web, ci si mette la messaggistica istantanea che, tenendo fede al suo aggettivo qualificativo, riesce a propagare i fotogrammi delle malefatte in modo fulmineo a giro d’orizzonte.
Con eguale impegno c’è chi diffonde foto e filmati e chi li cerca in una sadica e morbosa modalità di partecipazione “on demand” alle più orripilanti esperienze.
Strumenti come Telegram – nati per garantire la riservatezza di legittime comunicazioni – sono diventati la cloaca in cui si rimesta il peggio del peggio: è questo l’habitat dell’infimo strato della società odierna, pronta a sgomitare pur di appartenere ad una elite davvero “al contrario”.
I cosiddetti “canali” di quel sistema danno luogo alla condivisione di quel che è prova del reato ed è reato esso medesimo. Sui giornali si legge che migliaia di persone – avvoltoi del XXI secolo – si sono fiondati sulla carcassa della dignità, sperando di sbocconcellare qualche fotogramma incuranti del dolore che dilania la vittima, la sua famiglia, gli amici e anche tutta la gente perbene che si danna per una così riprovevole azione.
Le immagini scatenano una curiosità inammissibile e c’è persino chi è pronto a barattare altro materiale sudicio pur di accedere alle scene di più recente “attualità”… Non mancano nemmeno altri sciacalli che veicolano file assolutamente non afferenti l’accaduto ma i cui intrecci di carne e di dolore possono comunque sembrare estratti dalla tragedia palermitana e attirare altre bestie indegne di stare al mondo.
Mentre qualcuno si aspettava di leggere che le Forze dell’Ordine avevano già catturato i protagonisti della pubblicazione che è ugualmente condotta criminale, altri avrebbero avuto piacere di sentire in proposito il parere del Generalissimo che ha lasciato intendere di poter dissertare di ogni malessere dell’Italia contemporanea.
Non bastasse la telecronaca in diretta “autoprodotta” (va di moda) da stupratori e amici spettatori in “poltronissima”, anche i “fake” aiuteranno a rendere imperituro l’incombere dello sconforto.
I filmati girano e rimbalzano come la pallina di un flipper. Il quisque de populo si chiede se davvero non si può far nulla per evitarlo. Si racconta di difficoltà investigative, refrain comodo come la “scusa del non essere nativi digitali” che ha garantito giustificazioni agli adulti che non hanno mai voluto occuparsi di certi problemi. E intanto le piattaforme virtuali – moderne cornucopie – straboccano di oscenità e nessuno fa nulla per stopparne l’eruzione.
La Rete può essere l’inferno. E lo è. Chi dice di essersi pentito e di aver rovinato la propria esistenza, pensi che l’immortalità di Internet sarà l’ergastolo non solo per lui ma – purtroppo – anche per la sua preda e per tutti noi.