Le lacrime sono sempre e solo quelle della povera gente, stufa delle solite parole di cordoglio ciclostilate e pronte per l’uso per ogni disgrazia.
Gli schizzi di sangue dei cinque operai travolti da un treno nei pressi della stazione di Brandizzo difficilmente macchieranno l’anima di chi ha responsabilità di quest’ultimo grave incidente e di chi ha sulla coscienza i troppi morti sul lavoro che costellano la cronaca quotidiana.
La frazione di secondo dell’investimento ha ricalcato la tragedia di Viareggio: il convoglio che non rallenta, il caldo dell’estate, i pochi minuti che mancano alla mezzanotte…
Quattordici anni fa l’orologio si era fermato alle 23.49. Stavolta non ho trovato l’orario ma non è distante dal coincidere. Ma non è quella combinazione a dover preoccupare perchè la tutela dei lavoratori somiglia ai “Pavesini” e soprattutto al loro storico slogan secondo il quale “è sempre l’ora” nella fattispecie della sicurezza.
Michael Zanera, Giuseppe Sorvillo, Saverio Giuseppe Lombardo, Giuseppe Aversa e Kevin Laganà hanno trovato la coincidenza con la morte con un treno in transito sul binario 1 e nessuno sa come possa essere successo, cosa non ha funzionato, chi ha sbagliato.
La Procura di Ivrea apre un fascicolo contro ignoti, il Ministero dei Trasporti annuncia la costituzione di una Commissione d’inchiesta che va idealmente ad aggiungersi a quelle sulla Moby Prince e su altri casi insoluti. Siamo all’alba di quello che ci si augura che un domani non si riveli un fallimento investigativo e venga etichettato – come tante altre figure di merda – con la nobile locuzione “cold case”.
Viene da chiedersi se si ripeterà il solito copione dell’immediato tanto frastuono, del progressivo spegnersi dei riflettori, delle investigazioni che lasciano l’amaro in bocca, dell’abbandono di chi è condannato a trascorrere gli anni a venire immerso nel dolore e nella rabbia.
L’elenco degli eventi funesti lo hanno già stilato in troppi. La catasta di ipotesi la stanno sfornando immaginando ogni ragionevole possibile causa: disservizio del sistema di segnalazione, guasto nell’architettura di comunicazione, mancata manutenzione, certificazioni di sicurezza scadute, errore umano e così a seguire in una ridda di probabili ingredienti di cui non si conosce la ricetta ma soltanto il funesto piatto finito.
Qualcuno dovrà rispondere e ne dovrà rispondere. Non per sete di vendetta (la vita di quei cinque sventurati non potrà certo essere restituita…) ma di semplice giustizia e di speranza. Di giustizia, perchè chi ha sbagliato paghi per non avere – ai diversi livelli gerarchici – evitato che si potesse verificare un guaio simile. Di speranza, perchè non si ripeta ora e mai più.
La sicurezza è l’ultima preoccupazione perchè – a quanto pare basta rispettare formalmente gli adempimenti stabiliti per legge, a dispetto di una realtà affollata di famiglie che piangono i loro congiunti strappati via dal destino e – soprattutto – dalla mancata tutela imprenditoriale e istituzionale che la loro opera (e la loro vita) meritava.
Michael Zanera, una delle vittime, poco prima aveva fotografato e pubblicato su TikTok una curiosa immagine scattata nel turno di lavoro.
La sua didascalia lascia impietriti.
“È la prima volta che mi succede mentre saldo la rotaia. Mi è uscito il crocifisso. Dio mi vuole dire qualcosa sicuramente. Nonostante lo richiamo tutti i giorni ultimamente perché non è un bel periodo per me”
Dio ci auguriamo abbia qualcosa da dire anche ai responsabili di questa tragedia e – visto che le leggi non bastano – almeno Lui sappia ndirizzare “chi di dovere” a farlo, spingendolo a riflettere su quante volte – per risparmiare e magari guadagnare un premio di produzione – si è saltato qualche passaggio arrivando a questi risultati.