Spesso si trascurano gli sforzi compiuti per raggiungere una condizione di quiete, il sentiero impegnativo verso la conquista di un obbiettivo, o il numero di vite perse per instaurare una monarchia costituzionale; un esempio eloquente di questo è la Cambogia, che, neutrale sin dal 1954, anno del Trattato di Ginevra, ha attraversato una storia estremamente tumultuosa.
L’intervento americano durante la guerra del Vietnam, nonostante la neutralità cambogiana, rese chiaro ed ineluttabile il fallimento della Dottrina Nixon per il Sud-Est asiatico, nel momento in cui la Superpotenza stessa invase la Cambogia nella c.d. Operazione Freedom Deal, tra il 1970 e il 1973. Migliaia di morti, fattorie e vite distrutte.
Nel 1970, appoggiato da Washington, il generale cambogiano Lon Nol orchestrò un colpo di stato per assumere il potere, che fino ad allora era stato nelle mani del principe Sihanouk. I khmer rossi, un gruppo di guerriglia di matrice comunista che venne soprannominato così dallo stesso Sihanouk (khmer era l’antica civiltà del Paese), vollero riscattare il “mitico passato dell’impero” rovesciando Nol, prendendo quindi Phnom Penh.
Gli scontri che si susseguirono nel quinquennio successivo, con il ritiro americano, la fuga del generale Nol dalla Cambogia con milioni di dollari al seguito e la conquista della capitale da parte dei ribelli, terminarono con l’epurazione del popolo cambogiano avvenuto durante il governo comunista di Pol Pot, tra il 1975 e il 1979.
In quattro anni, in cui il genocidio cambogiano si perpetrò in quella che oramai divenne la Kampuchea Democratica, si stima che siano state uccise da 1,3 a 3 milioni di persone, un caso senza precedenti nella storia dell’umanità, considerando proporzioni e impatto sulla popolazione.
Pol Pot, dunque, perseguì l’obiettivo di esportare la Rivoluzione Culturale cinese, in forma ancor più radicale, all’interno della Cambogia; durante il suo governo di Kampuchea Democratica, il Paese si isolò dal resto del mondo, mantenendo rapporti solo con alcune nazioni comuniste come Cina, Corea del Nord, Albania e Jugoslavia.
I Khmer Rossi vollero trasformare la Cambogia da una monarchia costituzionale a una repubblica socialista agraria estrema basata su principi maoisti; le città vennero svuotate e la popolazione fu costretta a ripopolare le campagne, che erano il fulcro della nuova società cambogiana.
L’opportunità di perpetrare queste orribili atrocità fu intrinsecamente legata alle complessità politiche, ideologiche ed etniche che caratterizzavano quel periodo storico; furono infatti istituiti numerosi campi di lavoro, noti come Killing Fields, dove centinaia di migliaia di persone persero la vita, accusate di essere intellettuali o di appartenere a minoranze etniche.
Nelle 196 prigioni gestite dai Khmer Rossi, si stima che una famiglia e mezzo su due perse almeno due parenti; nel solo centro di tortura di Toul Slemg (noto come S-21) passarono 25.000 persone, di cui sopravvissero solo in sette. Di estrema e triste fama, dunque, furono, tali campi, dove vennero giustiziati in maniera sommaria gli oppositori, poi seppelliti nelle fosse comuni.
Ciononostante, come anticipato in precedenza, è difficile stabilire il numero esatto delle vittime durante il governo di Pol Pot. È complicato distinguere tra le morti causate direttamente dalla violenza dei Khmer Rossi e quelle causate da carestie, malattie e mancanza di cure mediche. Le stime variano, il governo vietnamita che parla di oltre 3 milioni di morti, mentre altri storici stimano tra 1,2 e 2 milioni di morti.
In questo oscuro periodo della storia asiatica è difficile ripartire le responsabilità sia orientali che occidentali; nel momento in cui, nel 1979, il Vietnam, con l’aiuto dell’URSS, invase la Cambogia spodestando Pol Pot, gli Stati Uniti e la Cina si schierarono dalla parte dei Khmer Rossi: in un ovvio contesto bipolare, il Vietnam venne considerato come la mela marcia, facendo così calare gelo e silenzio opportunistico, che fecero però passare in secondo piano l’olocausto di milioni di cambogiani che persero la vita.
Nel 2001 il governo cambogiano ha istituito il Tribunale speciale della Cambogia, con l’obiettivo di processare i superstiti della Kampuchea Democratica e punire i responsabili dei crimini commessi durante il genocidio. Le prime udienze hanno avuto inizio nel 2009 e nel 2014 sono state pronunciate importanti condanne, tra cui l’ergastolo per Nuon Chea e Khieu Samphan, per crimini contro l’umanità. Un dato impressionante emerso dal 2009 è che il Centro cambogiano di documentazione ha identificato e mappato oltre 23.745 fosse comuni, contenenti i resti di circa 2,3 milioni di possibili vittime del genocidio. Si stima che il 60% dei morti sia stato ucciso direttamente dai Khmer Rossi, mentre il resto è deceduto a causa di carestie o malattie.
L’olocausto cambogiano rappresenta una delle pagine più oscure della storia dell’umanità, un periodo segnato da violenze estreme, torture e atrocità, commesse in nome di un’ideologia distorta. L’istituzione del Tribunale speciale della Cambogia ha contribuito a portare alla luce i crimini commessi e a rendere giustizia alle vittime, anche se non può cancellare il dolore e la sofferenza causati da quel tragico periodo storico.