La fatidica riunione tra Ministra e staff di vertice del dicastero per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità – non appena manifestata la ricevuta ispirazione dai francesi sulla “app” di verifica dell’età degli utenti – ha subito riservato uno spumeggiante colpo di scena.
Una partecipante di cui mi addolora essermi perso il nome interviene e, dinanzi alla larga rappresentanza del Comitato Media e Minori stabilito e insediato ex lege – si qualifica come predestinata componente dell’istituendo Comitato Media e Minori.
Jacopo Marzetti, avvocato e presidente del Comitato “istituito”, sussulta: seduto in prima fila palesa un certo stupore e spera di aver inteso male. Il “ci siamo già noi” ricorda le piccole querelle tra automobilisti alle prese di un agognato parcheggio in area di sosta proibitiva e ben si addice al clima del consesso.
Preso atto dell’incombente doppione (melius abundare quam deficere) e del fatto che se ci sono amici e conoscenti volenterosi è doveroso trovar loro un ruolo istituzionale anche se la specifica funzione è già assolta da qualcosa di preesistente, i lavori sono proseguiti con l’indicazione degli ingredienti della portentosa ricetta destinata a saziare la legittima aspirazione della collettività di escludere i minori dall’accesso al porno online.
La difficoltà di riconoscere l’effettiva età dell’utente digitale è stata liquidata ritenendo che un obbligo di legge può imporre ai gestori dei siti birbaccioni di farsi carico di questo adempimento. Non c’è voluto molto a rilevare che la quasi totalità delle cornucopie hardcore digitali si trova fuori dai confini nazionali e che qualunque provvedimento – anche il più feroce ed agguerrito – difficilmente potrebbe rivelarsi coercitivo: scroscianti risate e irriguardose pernacchie si leverebbero al cielo da ogni angolo del mondo dando luogo ad un inquinamento acustico senza precedenti.
Il Ministero ha subito dato prova di non perdersi d’animo e come un imperturbabile giocatore di poker ha subito calato l’asso dei “parental control”, confidando in una efficacia risolutiva.
Come per la “app” della “age verification”, anche in questo caso ogni apparato dovrà uscire di fabbrica corredato di un software che restringa la capacità di movimento in Rete e blocchi i minori i cui ormoni muovono il mouse senza bisogno di toccarlo.
L’intervento di simili filtri inibirà quelli che confondono le avventure di certi video con le ordinarie dinamiche di relazione interpersonale. I bambini finora mortificati da evidenti differenze biometriche con i protagonisti di performance circensi, finalmente riscopriranno la normalità dell’approccio e della tipologia di partner (auspicata anche dal celeberrimo Generale Vannacci) e da grandi non si faranno truffare da chi vende lenti di ingrandimento per chi spera in una maggiorazione della propria virilità…
L’idea del filtro l’aveva già avuta il lungimirante senatore Simone Pillon e ad onor del vero è vecchia almeno quanto il web. Chi oggi crede di sguainare la Durlindana è bene che sappia che questo percorso è noto da tempo ai viandanti telematici.
A maggio 1997 usciva un libro intitolato “Genitori, occhio ad Internet” che già parlava di programmi di questo tipo.
Quelli che lo hanno scritto, forse dispiaciuti che certe indicazioni precauzionali non abbiano avuto seguito (e in un quarto di secolo di cose se ne potevano fare), sono i primi a ridimensionare l’efficacia di certi strumenti e a suggerire interventi diversi per raggiungere certe finalità sociali.
I ragazzini non faticano a by-passare le barriere con cui i genitori cercano di ingabbiarli e un braccio di ferro non avrebbe senso per le artrosi culturali degli adulti.
Ma soprattutto – adesso che le Forze di Polizia hanno espugnato Caivano – in simili contesti di degrado civile e morale (anche per colpa della latitanza dello Stato) a chi la si va a raccomandare l’installazione del “controllo parentale” per ridurre la violenza dei ragazzini?
Fermiamoci qui, ma niente paura, non è finita. È lunga, ancora parecchio lunga…