L’amore dovrebbe convivere sempre con noi in tutte le manifestazioni del nostro essere: anche in termini totalmente laici, amare se stessi e amare il prossimo come sosteneva Hermann Hesse, ci permette di vivere serenamente e in pace col mondo intero:
“Senza amare sé stessi non è possibile amare neanche il prossimo, l’odio di sé è identico al gretto egoismo e produce alla fine lo stesso orribile isolamento, la stessa disperazione.”
Noi cristiani poi, anteponiamo a questi sentimenti laici l’amore per Dio che però non deve essere antitetico a quello per il prossimo perché Gesù ci ha insegnato che essi sono complementari. Quello per il prossimo è simile al primo. È importante come quello per Dio, e anche se diversi, è ugualmente necessario.
Gesù Cristo mette insieme la dimensione verticale e orizzontale dell’amore, dichiarandoli inscindibili e necessari reciprocamente, indica l’amore di Dio e del prossimo come realtà inseparabili che si fondono insieme. L’altro insegnamento di Gesù è stato il ribaltamento del concetto di “prossimo” dell’antico Testamento, definendo “prossimo” non più chi ti sta vicino, ma sei tu che ti devi fare “prossimo” di tutti coloro che soffrono ed hanno bisogno di aiuto, e lo ha fatto raccontando la parabola del buon Samaritano.
Dal concetto cristiano da cui sono partito cercherò di ampliare lo sguardo all’amore in senso lato. Voglio procedere per affrontare l’argomento “amore” nella nostra vita in tutte le sue sfaccettature. Solo con l’ottica della nostra fede cristiana possiamo affrontare, per primo, il dramma delle migrazioni che stiamo vivendo e che proprio in questi giorni a Lampedusa è diventato insostenibile: il Comune ha dichiarato lo stato di calamità.
E’ necessario fare una seria riflessione sull’intera questione non solo a livello nazionale ma europeo; non è cambiato nulla da quando tanti anni fa Paolo VI lanciava quell’angosciato appello al mondo cattolico. Anzi, la situazione è notevolmente peggiorata. Intere popolazioni non hanno altra soluzione se non quella di lasciare la terra natia perché non riescono più a viverci e devono migrare in altri paesi con la speranza di trovare situazioni migliori per se e per la famiglia. Evitare di morire a causa delle guerre come a causa della fame è un imperativo comune.
Non vedo molta differenza tra le due morti come fanno alcuni politici che oggi hanno anche il maggior consenso popolare. Dei profughi che scappano dalle guerre ce ne dobbiamo occupare perché ce lo impongono i trattati internazionali in atto. Ma ciò non toglie che della gente che scappa dalla propria terra perché diventata invivibile per i cambiamenti climatici e ambientali o perché depauperata dallo sfruttamento dei paesi ricchi non possiamo e non dobbiamo disinteressarcene.
Mi pare che, dal punto di vista evangelico, sono anch’essi nostri fratelli. Purtroppo enormi zone dell’Africa soffrono dell’espansione della desertificazione, dell’abbassamento delle falde acquifere, dell’innalzamento dei mari, delle tempeste devastanti; senza parlare poi dell’inquinamento portato dai popoli cosiddetti civili con rifiuti tossici e radioattivi.
E infine, alcuni paesi hanno dovuto anche subire il depredamento, tuttora in corso, di enormi ricchezze derivanti dalle materie prime senza adeguato compenso.
Tutta l’Africa è a rischio sopravvivenza: in questo momento la desertificazione è in avanzamento praticamente ovunque. Il deserto del Sahara, per esempio, si sta espandendo in ogni direzione. Avanzando verso nord, schiaccia le popolazioni di Marocco, Tunisia e Algeria contro la costa del Mediterraneo.
La regione africana del Sahel – la vasta fascia di savana che separa il Sahara meridionale dalle foreste pluviali dell’Africa centrale – si sta ritirando, man mano che il deserto avanza verso sud. Così come il deserto che invade la Nigeria, la nazione più popolosa dell’Africa, dal nord contadini e pastori vengono spinti verso sud, schiacciati in un area sempre più ridotta di terra produttiva.
Intanto della ricchezza della Nigeria, il petrolio e le altre materie prime, ne fanno man bassa i paesi ricchi.
A tutto ciò, la parte dell’umanità che gode del benessere, non può stare a guardare senza intervenire. L’ONU che fa? Non doveva avere il ruolo di cooperare nella risoluzione dei problemi internazionali e nella promozione del rispetto per i diritti umani? Il diritto alla vita non è il primo da salvaguardare in tutto il mondo?
Non è più possibile accettare che il mondo sia diviso tra una parte che gode della dote del benessere e una parte che sopravvive a stento alla morte.
La Caritas che, operando con impegno in tutto il mondo, dà un profondo esempio di fratellanza. Infatti, essa s’impegna ad organizzare e coordinare interventi d’emergenza in caso di gravi calamità e, soprattutto, promuove iniziative di sviluppo umano e sociale nei paesi del Terzo Mondo. Ovunque i suoi “operatori della Carità” entrano in relazione con le persone in stato di bisogno mediante l’effettiva presa in carico delle loro necessità.
E’ tanto, ma credo non possa essere sufficiente per alleviare le pene dell’enorme massa di bisognosi che popolano alcuni Continenti. Allora ecco che interviene la seconda parte dello Statuto della Caritas, la parte di cui si era fatto promotore Paolo VI, quella di diffondere la cultura della solidarietà, in pratica la sua attività preminente, quella pedagogica.
Così la missione della Caritas più importante e soprattutto più redditizia in termini di ottenimento di risultati tangibili, diventa quella di educare le comunità cattoliche perché l’amore preferenziale per i poveri, l’esigenza intrinseca del Vangelo, sia un criterio di discernimento pastorale per tutta la vita dell’intera Chiesa. Infatti, così i destinatari dell’azione della Caritas ad ogni livello diventano Poveri, Chiesa, Mondo.
Solo con la sua azione pedagogica e culturale, si può ottenere, o quantomeno tentare di ottenere, un nuovo mondo che, applicando il Vangelo, difenda i diritti inviolabili di ogni persona e i valori di cittadinanza universale.
Solo se si metterà in moto l’intero universo cristiano, ma soprattutto quello europeo (cattolico, protestante, ortodosso) forse riusciremo a smuovere la politica internazionale per far sì che finalmente svolga il suo compito rivolto al benessere dell’intera umanità vista come una sola famiglia umana che si ama vicendevolmente.
Benedetto XVI più recentemente nella sua Enciclica “Deus Caritas est” ha sostenuto che l’amore – Caritas – sarà sempre necessario, anche nella società più giusta. Non c’è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell’amore. Chi vuole sbarazzarsi dell’amore si dispone a sbarazzarsi dell’uomo in quanto uomo.
Per chiudere, vorrei citare la dichiarazione di don Flavio Peloso a proposito all’Amoris laetitia: “Che bella questa Chiesa che dalle solide mura dottrinali della sua casa edificata sulla Roccia esce misericordiosa e si fa prossima a tutti, senza scartare nessuno, tanto meno in nome di Dio e di quel bene che tanto ama”. Voglio sperare che queste non siano solo parole.