Sono decine di migliaia – negli ultimi anni – le ricerche tramite riconoscimento facciale che il Federal Bureau of Investigation (FBI) degli Stati Uniti ha effettuato utilizzando software di fornitori esterni.
Prima di gioire per un simile numero che potrebbe far felici i cittadini onesti, è bene sapere che solo il 5% dei 200 agenti con accesso alla tecnologia ha seguito il corso di formazione di tre giorni previsto per abilitare al corretto utilizzo del software.
Non si tratta di un pettegolezzo ma di quel che rivela un rapporto del Government Accountability Office (GAO), l’equivalente della nostra Corte dei Conti.
Mica è finita. L’ufficio di presidenza non ha adottato alcuna politica per l’uso del riconoscimento facciale per proteggere la privacy, i diritti civili o le libertà civili. Ovviamente i legislatori e altri soggetti – preoccupati per il riconoscimento facciale – hanno affermato che è necessaria una formazione adeguata sulla tecnologia e su come interpretarne i risultati per ridurre l’uso improprio o gli errori. Questa posizione porta alcuni esperti ad affermare che la formazione può indurre le forze dell’ordine e il pubblico a pensare che il riconoscimento facciale sia a basso rischio.
Dopo il clamoroso sbaglio che ha portato all’arresto di Robert Williams vicino a Detroit nel 2020, negli Stati Uniti sono emersi numerosi casi di “catture” avvenute dopo che un modello di riconoscimento facciale aveva identificato erroneamente una persona. Alonzo Sawyer, la cui vicenda è diventata nota oltreoceano nella primavera scorsa, ha trascorso nove giorni in prigione per un crimine che non ha commesso.
Il rapporto del GAO che esamina le protezioni adottate quando le forze dell’ordine federali utilizzano certa tecnologia è stato redatto su richiesta di sette membri democratici del Congresso. Gretta Goodwin, autrice del rapporto e direttrice della GAO Homeland Security and Justice, ha dichiarato di non aver trovato prove di falsi arresti dovuti all’uso del riconoscimento facciale da parte di un’agenzia federale delle forze dell’ordine.
Il dettagliato documento in questione si concentra sugli strumenti di riconoscimento facciale realizzati da entità commerciali e senza scopo di lucro. Ciò significa che non copre la piattaforma interna di riconoscimento facciale dell’FBI, che il GAO aveva precedentemente criticato per la scarsa tutela della privacy.
Lo scorso anno la Casa Bianca ha ordinato al Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti di sviluppare le migliori pratiche per l’utilizzo del riconoscimento facciale e di segnalare eventuali cambiamenti politici che ne conseguono.
Gli strumenti di riconoscimento facciale utilizzati dall’FBI e da altre forze dell’ordine federali oggetto del rapporto provengono da aziende tra cui Clearview AI, che ha recuperato miliardi di foto di volti da Internet per addestrare il suo sistema di riconoscimento facciale, e Thorn, un’organizzazione no-profit che combatte il traffico sessuale. applicando questo genere di soluzione tecnologica per identificare vittime e trafficanti di sesso dalle immagini del mercato del sesso commerciale online.
L’FBI è al primo posto tra le forze dell’ordine federali esaminate dal GAO per la portata dell’uso del riconoscimento facciale. Tra ottobre 2019 e marzo 2022 sono state effettuate più di 60.000 ricerche da sette agenzie. Oltre la metà sono state effettuate da agenti dell’FBI, circa 15.000 utilizzando Clearview AI e 20.000 servendosi di Thorn.
Negli Stati Uniti (e nemmeno altrove) non esisterebbe alcuna legge che costringa i poliziotti ad addestrarsi per utilizzare il riconoscimento facciale, né ci sarebbe nessun obbligo di seguire standard particolari quando ci si avvale di determinati strumenti in una indagine penale. Ciò nonostante il problema esiste e ne viene riconosciuta l’importanza, come dimostra l’impegno del Dipartimento della Giustizia USA di far evolvere lo stato di fatto fino ad arrivare a consentire solo il riconoscimento facciale per giustificare la richiesta di un mandato di perquisizione.