Le figure positive eternamente famose, onnipresenti nella memoria e nella storia, (magari quelle negative non fossero mai esistite!) per quanto molteplici, sono davvero di quantità esigua rispetto a tutti quei valorosi sconosciuti, o poco noti, di ogni epoca, di ogni genere ed identità, di ogni nazionalità.
Misconosciuti di cui ignoriamo perfino l’esistenza, di cui non sappiamo e non sapremo mai nulla; persone che solo in pochi conoscono, ma di cui non resterà traccia nel tempo, gente a cui magari dobbiamo tanto e non lo sapremo mai; esseri speciali, forse neanche consci del loro valore, che è poi la caratteristica del vero eroe.
Del resto, impossibile ricordarli tutti. Chissà, ormai a loro neanche importa, ma per noi è vitale: la memoria storica di ciò che è stato è essenziale per comprendere ciò che è e ciò che sarà, anche se poi osservando alcune realtà contemporanee ci rendiamo conto che certi umani non impareranno mai.
Simbolicamente si potrebbe ricordarne uno, di questi esseri speciali, per onorarli virtualmente tutti: quindi, sempre simbolicamente, menzioniamo Luciano Bolis, e con lui, come lui, tutti gli altri prodi, che riempiranno pagine invisibili.
Luciano Bolis (1918 – 1993), la cui agiata famiglia aderiva al fascismo, frequentando l’Università di Pavia, dove si laureò in Lettere e Filosofia, abbracciò le prime idee antifasciste, finché nel 1942 venne arrestato dal Tribunale Speciale, giudicato colpevole di cospirazione contro il governo e condannato a due anni di reclusione. Purtroppo fu solo l’inizio della sua odissea.
Tornato libero, per sfuggire alle rappresaglie delle camicie nere si recò in Svizzera, dove continuò a frequentare i teorici e gli adepti liberaldemocratici del Partito d’Azione italiano, con cui mantenne contatti e collaborazione. Ma non appena tornò in Italia, nel 1945, fu arrestato dalle Brigate Nere. Bolis ha avuto modo, per fortuna, di raccontare in prima persona la sua tremenda avventura, come testimonianza diretta di una brutalità senza pari da parte dei suoi aguzzini, di soprusi e torture.
La morte non è solo fisica, può essere anche mentale ed emozionale e, dunque, altrettanto terribile. Il giovane partigiano fu torturato implacabilmente per giorni, allo scopo di ricevere da lui informazioni su nomi e fatti dei gruppi antifascisti, elementi da lui stoicamente mai forniti; non rivelò mai i nomi dei suoi compagni.
Fermamente deciso a tacere, a non cedere, a porre fine alla questione, Bolis mise in atto il suo piano disperato: si procurò una lametta ma, andando fallito il tentativo di suicidio sui polsi (era talmente malridotto che non usciva sangue) decise di tagliarsi la gola e quasi si estirpò le corde vocali, per non parlare, cercando di strappare con le dita tutto ciò che si trovava al suo interno. Rimase rauco per tutta la vita, ma rimase in vita.
Allucinante e lucida disperazione, senza ombra di cedimento di fronte al nemico, il suo atto richiese una forza posseduta da pochi, dagli eroi, appunto.
Comunque fu scoperto proprio in quel frangente e venne trasportato in ospedale, curato e sorvegliato, allo scopo di continuare ad interrogarlo (leggasi: torturarlo).
Come in un romanzo di appendice (per fortuna o per caso, ma forse lassù qualcuno lo amava), fu salvato e fatto evadere rocambolescamente da una infermiera, che diventerà poi sua moglie, la quale simulò, con alcuni amici, una finta ambulanza con finti infermieri, che lo prelevarono in barella e lo nascosero in una casa abbandonata.
Quando, dopo alcune settimane, anche la Repubblica di Salò ebbe termine, Bolis fu libero di riprendersi la sua vita, di continuare il suo brillante percorso politico di antifascista e anticomunista, di democratico ed europeista convinto, sempre coerente con il suo credo e con le sue idee, integerrimo e fedele ai propri principi, che anni prima lo avevano condotto a compiere il più estremo dei sacrifici.