Vincent Picchi aveva 23 anni. I suoi amici lo conoscevano come “Inquisitor Ghost”, una sorta di star nel circo virtuale delle piattaforme social. I suoi nemici, invece, lo consideravano solo il protagonista di presunte molestie sessuali e gli avevano appiccicato l’etichetta di pedofilo, travolgendolo di insulti e minacce in uno tsunami digitale.
Il peso della malvagità lo ha piegato e, dopo un periodo di ostracismo online, è tornato a pubblicare i suoi clip filmati nelle per lui consuete vesti del personaggio Ghost del videogame Call of Duty e alla fine ha deciso di togliersi la vita sul palcoscenico di TikTok. Lo ha fatto in diretta, perché tutti condividessero la sua disperazione e – forse – comprendessero l’insostenibilità dell’ondata di odio cui era esposto quasi fosse la polena dello scafo della propria vita.
Se il fatto di cronaca stordisce, il malessere giovanile di vittime e carnefici dovrebbe invitare ad una più profonda riflessione, mentre la pericolosità dei social potrebbe finalmente indurre a sviluppare un piano socioeducativo che però forse non porta voti e quindi non interessa alla politica.
Il folle gesto estremo del giovane italiano ci ha fatto capire che queste cose succedono anche dalle nostre parti. Non è certo il primo caso e probabilmente non sarà – purtroppo – l’ultimo.
Tre anni fa, per la precisione il 31 agosto del 2020, inaugurò questa infausta stagione un trentatreenne americano di nome Ronnie McNutt. In diretta su Facebook si è piazzato un fucile sotto il mento e ha premuto il grilletto… Episodi di questo genere si sono susseguiti lasciando nella totale indifferenza chi faceva della distanza chilometrica un possente baluardo.
Lo strazio di chi subisce vessazioni, amplificate dalla incontenibile propagazione e dalla immortalità dei contenuti riversati in Rete, è fin troppo evidente e gli educatori (scuola e famiglia in primis) tentano in maniera disordinata di arginare il problema.
Il disagio dei seviziatori telematici è semplicemente il rovescio della stessa medaglia. Il degrado delle nuove generazioni – facilmente imputabile ad una TV sempre più diseducativa e ad uno sconsiderato uso di dispositivi elettronici di comunicazione e intrattenimento – è sconfortante.
Il drammatico addio di Vincent sia la lacerante occasione per affrontare la questione o, almeno, per individuarne i contorni e trovarne magari il “manico” per poterla afferrare.
Senza cadere nel complottismo, va riconosciuto che sullo sfondo c’è lo sconvolgente disegno di demolizione della civiltà occidentale. L’ipnosi collettiva operata attraverso le piattaforme social e il compulsivo utilizzo dello smartphone ha fatto assaporare la fruizione di contenuti in mobilità e tante altre belle cose, ma al contempo ha fratturato irrimediabilmente le relazioni interpersonali, spento l’iniziativa, ridotto la produttività, fatto sprofondare nel baratro dell’inutilità. E’ una guerra che i cinesi, che “esportano” TikTok ma ne limitano l’uso a casa propria, hanno già vinto.
Tralasciando gli scenari internazionali, pensiamo a noi che abbiamo perso e continueremo a perdere. Il futuro deve essere “green” non solo per l’ambiente, ma anche e soprattutto per la dolcezza dei rapporti umani.
Vincent aveva 300mila follower. Ma al di qua dello schermo era solo.