La presenza dell’ONU in Medio Oriente è come il trucco dei prestigiatori? C’è, ma non si vede?
Chi è appassionato di schieramenti e missioni militari sa bene che a poca distanza dal duello all’ultimo sangue tra Israele ed Hamas c’è UNIFIL, il contingente di caschi blu in Libano che da mesi aveva messo in guardia sull’incremento di scontri lungo il confine israeliano e proposto iniziative volte a ridurre attriti e nervosismi.
La minaccia del gruppo militante sciita libanese Hezbollah di aprire un altro fronte contro Israele nel mezzo della guerra di quest’ultimo con Hamas ha spinto UNIFIL a sollecitare un freno all’escalation in corso.
Le truppe che fungono ora da cuscinetto tra Libano e Israele lungo la “linea blu”, (quella tracciata dalle Nazioni Unite dopo il ritiro di Israele dal Libano meridionale nel maggio 2000) sono in esercizio dal “varo” della struttura avvenuto il 19 marzo 1978 e – in mezzo agli scontri di questi giorni – il loro quartier generale è stato colpito da un razzo il 15 ottobre scorso, fortunatamente senza che ci siano state vittime.
Il contingente si trova nel mezzo di forti tensioni dal giorno dopo l’attacco a sorpresa di Hamas contro Israele il 7 ottobre, quando Hezbollah ha espresso “solidarietà” al popolo palestinese e ha affermato di aver preso di mira le posizioni militari israeliane nelle contese tenute agricole di Shebaa, un frammento di terra tra Libano e Siria.
Israele ovviamente teme i terroristi di Hezbollah e l’intelligence di Tel Aviv stima che il gruppo abbia un arsenale di 150.000 razzi e missili, compresi quelli a guida di precisione che possono colpire ovunque.
Nel 2006, Israele e Hezbollah se le sono date di santa ragione dopo che quest’ultimo ha catturato due combattenti israeliani al confine libanese. In quella guerra, durata 34 giorni, morirono 1.300 cittadini libanesi e 165 israeliani.
Dopo quei fatti l’UNIFIL ha schierato in quella regione battaglioni provenienti da Francia, Italia e Spagna che si sono uniti ai militari già presenti provenienti dal Ghana e dall’India. Secondo il conteggio delle truppe delle Nazioni Unite, al 30 agosto, l’UNIFIL è composta da 9.994 unità da 49 paesi e può contare su una task force marittima di cinque navi.
Per i più curiosi va detto che l’ONU ha iniziato le sue operazioni di mantenimento della pace in giro per il mondo settantacinque anni fa e attualmente ha 12 missioni attive in tutto il mondo, con il contributo internazionale di truppe, personale di polizia ed esperti.
Troviamo “caschi blu” in Medio Oriente anche con l’UNTSO (in campo dal 29 maggio 1948) e ci sono tra le tante altre missioni al di là del Mediterraneo come quelle nella Repubblica Centrafricana (MINUSCA), nel Sud Sudan (UNMISS), nella Repubblica Democratica del Congo (MONUSCO), nel Mali (MINUSMA), nell’UNISFA ad Abyei (una regione di confine contesa da Sudan e Sud Sudan), a Cipro (UNFICYP), tra Israele e Siria (UNDOF), nel Sahara occidentale (MINURSO).
In questo momento storico ci si accorge che ci sarebbe necessità anche di sforzi diplomatici e politici in grado di disinnescare una situazione esplosiva come forse non abbiamo mai conosciuto. Proprio su quel piano i “missili verbali” sono stati devastanti: le dichiarazioni di Erdogan e lo scontro frontale tra Israele e Guterres evidenziano uno strano modo di trovare una soluzione. Troppi gli interessi in gioco, troppo poco – ahinoi – il peso della disperazione e del sangue. Quando i morti diventano statistica e non più un dramma e un dolore incolmabile, l’umanità è al tramonto.