Sfortunatamente morì troppo presto. Quindi non ebbe il tempo necessario per lottare e farsi riconoscere la proprietà della sua principale invenzione, ossia quella del telefono.
L’inventore e scienziato valdostano Innocenzo Manzetti (1826-1877), tutt’ora ignoto ai più, fors’anche perché riservato e schivo, è autore del dispositivo più usato al mondo, e solo uno dei tanti personaggi che la storia non menziona.
Solitamente l’invenzione del telefono, comunque da sempre soggetta a diatribe, viene attribuita all’italiano Meucci o all’americano Bell; in realtà questo indispensabile apparecchio ebbe vari inventori, studiosi che, spesso ignari l’uno dell’altro, elaborarono le stesse idee, ottenendo gli stessi risultati.
Ma storicamente è pur vero che Manzetti realizzò la sua idea di contatto vocale a distanza (tramite elettricità) prima di Meucci; quest’ultimo infatti depositò il suo brevetto iniziale nel 1871, mentre Manzetti aveva elaborato il suo primo progetto di telefonia già nel 1850, depositandolo poi nel 1865, ma purtroppo senza brevetto, essendone i costi troppo elevati.
I giornali internazionali diffusero la notizia proprio nel 1865, quindi ben undici anni prima di Bell e sei anni prima del caveat di Meucci (una sorta di prelazione di brevetto). Pare che proprio quest’ultimo dichiarò, ad un giornale americano, che il telefono di Manzetti era migliore del suo, in quanto per parlare con l’apparecchio di Meucci era necessario tenere tra i denti un pezzetto di metallo, mentre quello del collega inventore si avvaleva già di una cornetta.
Per essere precisi, nel 2002 una sentenza del Congresso degli Stati Uniti ha riconosciuto la paternità del telefono al nostro italianissimo Antonio Meucci, e non più a Bell, ma comunque il nome di Manzetti non viene mai citato: eppure, anche se le testate italiane del tempo quasi lo irrisero per la sua invenzione, i giornali esteri ne elogiarono e ne riconobbero la validità.
Forse, all’epoca, il Ministero Italiano della Pubblica Istruzione era contrario a un’invenzione che, abilitando gli utenti a comunicare direttamente, eliminava di fatto il controllo dei funzionari pubblici.
Per conferire al tutto una patina di mistero, pare che nel 1880 alcuni stranieri si recarono in Val d’Aosta per acquisire i diritti della scoperta dagli eredi di Manzetti, dopo la sua dipartita, probabilmente per bloccarne le rivendicazioni.
I rampolli dell’inventore valdostano, forse ingenuamente, consegnarono tutti i documenti del télégraphe vocal all’inventore americano Eldred, con la promessa di usarli per attribuire l’invenzione al defunto Innocenzo; in realtà pare che quel gentiluomo fosse non solo al soldo di Bell, ma che addirittura presentasse anche una miglioria del telefono a proprio nome. Un Manzetti non solo colpito, ma anche affondato, fino alla fine: nè vergogna, né rispetto, neanche per i defunti, ma sappiamo che ciò è ricorrente nelle tristi vicende terrene umane.
Però Manzetti non fu solo telefono, e neanche ciò è noto. Nel 1840, a soli 14 anni, costruì un automa che suonava il flauto. Intratteneva relazioni internazionali con istituzioni scientifiche ed aveva molteplici interessi; fu un pioniere della tecnologia, della scienza energetica e della robotica, fu insomma un fecondo creatore, decisamente proteso verso il futuro.
Alcune sue invenzioni vengono utilizzate ancora oggi, come la macchina per la pasta, l’automobile a vapore, la calce idraulica.
Realizzò anche un apparato di illuminazione pubblica per la sua città, Aosta, un sistema filtrante per depurare l’acqua del fiume, ed un congegno economico per produrre farina e realizzare pane senza glutine, e non solo. Ad oggi viene ricordato ad Aosta grazie all’interesse di fantastiche persone che hanno allestito un piccolo Museo Manzetti, la cui attività ha reso possibile ricostruire la storia di questo personaggio, che certamente meriterebbe tanto, soprattutto di essere ricordato o, quantomeno, di essere menzionato e riconosciuto dei suoi meriti.