«La realtà è una semplice illusione,
sebbene molto persistente»
(Albert Einstein)
Osservando la realtà attuale attraverso le lenti dei social network, mi interrogo ciclicamente sul tema della “VERITÀ”, posto che la visione del mondo da questi restituita non sempre corrisponde a ciò che mi pare di cogliere attraverso i miei soli occhi. Come in album di fotografie, nelle nostre “vetrine” social, esponiamo solo ciò che di noi desideriamo mostrare, in modo più o meno genuino o strumentale. Possiamo esibire i nostri successi per ottenere consenso o i nostri fallimenti per condividere ciò che ne abbiamo ricavato. In ogni caso, raccontiamo la nostra verità per suscitare l’approvazione degli altri. Di conseguenza, può accadere che la naturale tendenza distorsiva a vedere “l’erba del vicino sempre più verde” si amplifichi e, scrollando compulsivamente le storie altrui, rimbalzi in noi come sentimento di inadeguatezza. O viceversa, laddove i feedback lo favoriscano, si finisca per identificarsi nel proprio luccicante racconto da vetrina al punto da essere pervasi da un sentimento di onnipotenza.
Dove si colloca dunque il crinale della “verità”, ammesso e non concesso che questa esista? Proviamo ad analizzare il tema per approssimazioni successive…
Il vocabolario Treccani definisce la “verità” come «conformità o coerenza a principî dati o a una realtà obiettiva», ed ha aggiunto di recente anche la c.d. “post verità”, definita come «argomentazione, caratterizzata da un forte appello all’emotività, che basandosi su credenze diffuse e non su fatti verificati tende a essere accettata come veritiera». Ma dove e come collocare il confine della verità in tutto questo? Cosa si intende per «realtà obiettiva»? Cosa e quanto di ciò che osserviamo nella realtà mediatizzata è realmente vero? E, di più, esistono la “REALTÀ” e la “VERITÀ” o queste, in fondo – come si domandava già Platone e come ha poi descritto la teoria quantistica – altro non sono che il prodotto del nostro sguardo, lasciando spazio a molteplici angolature della “realtà” e infinite “verità” soggettive?
L’etimologia della parola “verità” ha origini latine e deriva da veritas che a sua volta deriva dal verbo verus, che significa “vero” o “autentico”. La radice del termine latino verus è associata al concetto di “essere” o “essenza”. Il termine greco utilizzato per indicare la “verità” era invece alétheia, la cui etimologia significa «non nascondimento» in quanto è composta da a (privativa) e –léthos, che vuol dire propriamente eliminazione dell’oscuramento, cioè disvelamento. Nella filosofia di pensatori come Eraclito e Platone, aletheia era associata alla verità come rivelazione, come svelamento di ciò che è nascosto o dimenticato ed era considerata una forma di conoscenza autentica che andava oltre l’apparenza superficiale delle cose.
In questo senso, la “verità” rispetto a ciò che vediamo sui social media, corrisponderebbe non all’apparenza di ciò che vediamo ma a ciò che si nasconde sul retro… Giova ricordarlo, perché spesso rischiamo di confondere queste due dimensioni e, non avendo strumenti idonei per “svelare” la verità altrui, corriamo anche il rischio di paragonarci gli altri su due piani diversi: la mia realtà vera (tale perché è la mia e la conosco) e l’altrui apparenza. Evidentemente nel confronto ne usciremo malconci, ma per un semplice motivo logico!
Volendo quindi arrivare a un punto pratico in questa riflessione, che sia utile e spendibile nel quotidiano, sono arrivata a considerare che, al netto della domanda ontologica sulla verità come concetto, nell’osservare la realtà e le vite altrui potrebbe essere saggio adottare un paio di accorgimenti:
- confrontarci con gli altri sempre sullo stesso piano logico: apparenza vs apparenza, verità vs verità;
- nella ricerca di una verità esterna (circa una persona o una situazione), assestarci su un livello di verità “sufficientemente buono” (parafrasando Donald Winnicott) in relazione al nostro specifico bisogno contingente e soprattutto rispetto al risultato che intendiamo ottenere.
In sintesi, si tratta di arginare l’esondazione emozionale o la ruminazione cognitiva, contenendo entrambi nel perimetro del nostro specifico obiettivo e soprattutto in relazione alle nostre risorse psicofisiche del momento. Con lo sguardo dritto verso la mèta, vicina o lontana che sia, occorre ricercare e osservare solo i dati funzionali ad avanzare nel nostro percorso, evitando di farci distrarre dalle sirene incantatrici dei vari gatti e volpi che vorrebbero introdurci al loro scintillante “paese dei balocchi”, ma solo per un evidente vantaggio. Non si tratta di rinforzare il nostro strutturale “bias di conferma”, ma si tratta di orientarlo selettivamente in funzione dei nostri progetti.
Il punto quindi, per concludere, è che gli argini all’esondazione del fiume di notizie, opzioni e opportunità offerte dalla rete sono dentro di noi e si fondano sul nostro “scopo di vita”, declinato nei nostri progetti, piccoli o grandi che siano. Solo con uno scopo di vita chiaro e per noi significativo, saremo in grado di sfruttare la corrente a nostro favore senza ribaltarci rischiando di affogare. Perché la verità in fondo, come ricorda S. Exupéry, non è ciò che scopriamo ma ciò che creiamo.