A colare a picco stavolta è il sito web dell’associazione che raggruppa gli esperti di riservatezza dei dati personali. Federprivacy è stata affondata dai pirati informatici di Alpha Team, squadra che si è impossessata anche dei profili social del Presidente a firma del quale ha anche inoltrato messaggi sulla piattaforma professionale Linkedin.
A preoccupare non è lo smacco ad un “club” di addetti ai lavori che per vocazione o per professione si occupano di privacy. L’aggressione digitale in questione offre numerosi spunti di riflessione che dovrebbero riguardare chiunque e non solo le vittime di turno.
In primo luogo torna a crollare il mito della minaccia che arriva da chissà dove. L’attacco in questione è roba di casa nostra o, a giocare con i cambi di vocale della Settimana Enigmistica, di cosa nostra.
Frasi e messaggi apparsi sugli schermi dei visitatori del sito di Federprivacy o nelle bacheche virtuali dei contatti di Nicola Bernardi sono scritti in un ottimo italiano e, senza aver bisogno di aver conseguito la maturità classica con il massimo dei voti, anche chi è cresciuto abbeverandosi alle fonti di “C’è posta per te” o “Il castello delle cerimonie” non fatica a riconoscere che chi scrive è persona erudita, nata e cresciuta da queste parti.
Il post sul profilo di Bernardi riporta ad esempio il termine “hackerato”, neologismo tutto tricolore che non è frutto di alcuna traduzione dell’anglofono “hacked” che nella nostra lingua si tramuta più facilmente in “violato”. Se questo indizio non convince si può rinvenire un altro messaggio in cui è riportato due volte a poche parole di distanza il verbo “dileggiare”…
L’eloquenza demosteniana non è tipica dei pirati informatici e ricorda alcune scene di “Smetto quando voglio” dove Valerio Aprea (nel film Mattia Argeri) e Lorenzo Lavia (Giorgio Sironi) interpretano i benzinai che dialogano in latino.
I soggetti in questione non sono nuovi a scorribande sul territorio italiano e una intervista del giornale online Red Hot Cyber lascia pensare che Alpha Team abbia radici consolidate qui da noi. L’inquietante colloquio con il leader di questa organizzazione merita di essere letto, senza fretta e possibilmente escludendo qualsivoglia coinvolgimento emotivo così da fare valutazioni il più possibile oggettive.
Le considerazioni sulla comprensibile necessità di sensibilizzazione delle imprese sulle tematiche della cybersecurity si incagliano quando dai principii si passa alle modalità di attuazione di questo processo di catechesi.
Ad un certo punto il signor “z0rg”, capo carismatico di questa combriccola, dichiara senza mezzi termini che “Gli Alpha Team spesso collaborano con aziende, organizzazioni e piattaforme per migliorare la sicurezza dei loro sistemi: tuttavia, le aziende e le organizzazioni che sceglieranno di non collaborare con questo gruppo si troveranno soggette a possibili attacchi, con la conseguente esposizione dei loro dati su forum e gruppi di hacking del web e del dark web”.
Il “sound” di questa dichiarazione – non so perché – non mi sembra affatto “innovativo” e dà la vaga impressione di essere stato copiato da tradizionali modalità di marketing attuate storicamente da chi offre la giusta protezione a chi ha esercizi commerciali e vuol evitare sgradevoli sorprese.
Può darsi si tratti di una sensazione personale ma sembra che l’episodio riguardante Federprivacy trovi nella dichiarazione di “z0rg” qualcosa di profetico…
Pare che l’accaduto sia l’applicazione del mancato rispetto del proverbio “uomo avvisato, mezzo salvato”, forse perché ad incrementare la suggestione interviene l’ultima frase pubblicata da Alpha Team quando ha devastato la homepage della associazione.
In quel contesto il “MANTENIAMO SEMPRE LE NOSTRE PROMESSE” non è proprio un’espressione da boyscout sotto giuramento…
Secondo Red Hot Cyber “Alpha Team è un gruppo composto da esperti informatici di varia etnia”. Secondo me – che non faccio distinzioni di razza (anche se va di moda) e ritengo che di banditi ne abbiamo già tanti in casa – varrebbe la pena che chi dalle nostre parti si occupa di crimini informatici approfittasse di questa occasione per far vedere che anche i “buoni” sanno fare il loro mestiere.
Della sottile linea di confine che separa un certo tipo di “hacking etico” dalle estorsioni ne parliamo la prossima volta…