William Burroughs (1914 St. Louis, Missouri – 1997 Lawrence, Kansas) è stato uno degli scrittori più radicali, anticonformisti e decisivi del XX secolo, protagonista assoluto della Beat Generation e della cultura underground.
Cresciuto in un ambiente borghese pieno di pregiudizi, si è rivelato fin da piccolo incline ad allucinazioni spontanee, frutto di una personalità paranoide e di una fervida immaginazione. Si riteneva in contatto con l’occulto, fino ad affermare che un’entità ostile era penetrata in lui spingendolo alle azioni più sconsiderate e alle sperimentazioni più folli.
Fedele al più rigido manicheismo, ha passato gran parte della sua vita cercando di esorcizzare l’ospite indesiderato che chiamava “lo spirito del male”. In realtà, i suoi veri nemici sono stati la dipendenza dall’alcol, la fissazione per le armi e la tossicodipendenza.
Burroughs era considerato una farmacopea ambulante. Sviluppò presto la sua dipendenza dalla morfina, senza trascurare altre sostanze allucinogene, quali lo yagé, capace di scatenare esperienze “extra-corporee” relativamente brevi ma molto, molto intense. Le droghe – che, secondo Burroughs, ricoprivano un ruolo utile nell’espansione della coscienza – lo portarono alla costruzione di una realtà alterata in cui si muovevano le sue diverse, tante personalità.
In costante rifiuto per il sistema di valori in cui era cresciuto, fu affascinato da hotel da due soldi, bar fumosi, sale da biliardo, bordelli e fumerie d’oppio. Preferiva i vagabondi a gran parte della gente in quanto, diceva, avevano un codice di onore in contrasto al comportamento venale, corrotto e ipocrita del capitalismo americano.
Visse sempre un passo oltre ogni limite dell’immaginario e della morale, passando da un hotel all’altro: Parigi, Londra, Città del Messico, New Orleans, Chicago, New York. Dopo aver fatto tappa in alcune città europee, tra le quali Roma e Napoli, decise di stabilirsi a Tangeri. E’ qui che Burroughs diventa un vero scrittore, forse perché a Tangeri ha riconquistato parte della serenità persa dopo l’uccisione accidentale della moglie Joan Vollmer avvenuta nel 1951. Erano entrambi ubriachi quando la uccise credendosi un Guglielmo Tell con la pistola.
Dopo la morte della moglie, Burroughs dedicò progressivamente la sua vita alla scrittura, quasi fosse un modo per svincolarsi da quel terribile crimine. E poi ci fu Jack Kerouac a fargli superare l’ostilità che nutriva nei confronti della scrittura e così la scrittura divenne il suo sbocco creativo. Burroughs si rese conto, man mano che scriveva, del ruolo che Tangeri ricopriva nella sua scrittura: non gli offriva solo personaggi e luoghi ma rappresentava l’ispirazione vera e propria.
A Tangeri in quel tempo si poteva fare liberamente qualsiasi cosa. E così fece Burroughs, perdendosi nelle droghe e dedicandosi a una vita dissoluta. E’ a Tangeri che ha scritto il suo libro più famoso, Pasto nudo, pubblicato nel 1959, ultima opera letteraria americana ad essere stata sottoposta a un processo per oscenità: il protagonista è dissacrante proprio come Burroughs e il racconto è privo di una vera trama, di un incipit e di un finale.
Alcuni personaggi li prelevava dalla vita reale, altri li trovava, già pronti all’uso, nei romanzi altrui, altri ancora gli comparivano nei sogni che, appena sveglio, batteva meticolosamente a macchina prima che svanissero nei fumi dell’alcol e delle droghe.
Burroughs affermava che la scrittura sia stata la sua unica via di uscita da quel passato da lui stesso definito “un fiume malvagio”. Nella sua vita, piena di traumi, profondissime frustrazioni e inquietudini, Burroughs riuscì a trovare una dimensione positiva nell’atto creativo.
I suoi romanzi hanno molto spesso un carattere allucinato, per via delle immagini irreali e inumane descritte con una vividezza intensa e violenta. La sua continua ricerca di visioni si potrebbe spiegare con l’intento di sfuggire con la mente alla consapevolezza di aver ucciso la propria moglie.
Burroughs desiderava che i suoi romanzi avessero un impatto politico. Scriveva per liberare la mente dalle costrizioni in cui la società la rinchiude. Non raggiunse questo obiettivo in quanto l’immaginario pubblico, in quegli anni 50, era mediamente molto distante dalle scene descritte nei suoi romanzi.
Con la sua opera si fece interprete di una sorta di ribellione all’opacità del linguaggio omologante e mediatico, che lui seppe rimpiazzare con l’esaltazione di una sorta di anarchia letteraria e con tecniche creative come il cut-up.
Il cut-up è un procedimento aleatorio nel quale un testo viene tagliato in diverse parti che, riassemblate in modo arbitrario, danno alla luce un testo nuovo.
La scoperta casuale va attribuita al pittore e scrittore Brion Gysin nel 1959. Brion, ritagliando con un coltello dei disegni, tagliò anche le pagine di un giornale messo sotto per non graffiare il tavolo. Quando finì, vide che, dove le pagine del giornale erano state tagliate, alcune strisce venivano via e affioravano le parole della pagina sottostante. Le due pagine potevano essere lette come un testo unico, un ibrido composto da pezzi di frasi di pagine differenti. Gysin riferì a Burroughs la scoperta e presto i due si convinsero che i cut-up fossero in grado di leggere tra le righe dando accesso ai “significati nascosti” nei giornali.
Presto il cut-up divenne per Burroughs materia importante per la sua identità di scrittore: secondo lui le giustapposizioni nate da questa pratica rivelavano connessioni e intersezioni affatto casuali. Burroughs incominciò così la sua sperimentazione con quotidiani e riviste. Più tardi, resosi conto di quanto fosse scomodo tagliare strisce di parole dagli articoli di giornale, cambiò sistema: prendeva una pagina di un libro, una rivista o un giornale e la tagliava in quattro quadranti, i cui margini venivano affiancati e spostati uno contro l’altro finché non si manifestava una frase di senso compiuto.
Nelle mani di Burroughs il cut-up divenne un espediente letterario per creare nuovo materiale nonché un’estensione del suo personalissimo modo di concepire la realtà circostante: il punto di arrivo della deriva paranoica della sua mente.
Il taglio non sempre è un metodo creativo, come lo è stato per Burroughs, o perfetto, come nei quadri di Lucio Fontana. A volte rappresenta una separazione, una frattura, una ferita imposta dal colonizzatore occidentale. Tracciando i confini col righello sulle carte geografiche, sono stati separati popoli, culture, clan, famiglie, fidanzati e amici. Proprio come avvenuto nel Nordafrica e nel Medio Oriente, poi a Berlino, e presto avverrà in Ucraina, e poi ancora in Palestina.
L’Occidente continua a separare forzatamente, e finge di ignorare quando, all’interno della ferita, si sviluppano elementi estranei e sotterranei, portatori di logiche violente, irreali e inumane, proprio come nei libri di Burroughs. L’Occidente continua a ignorare tutto ciò finché non ne viene interessato direttamente. Solo allora rinviene dal suo torpore intellettuale e riprende freneticamente a sovrapporre tagli su tagli, zittendo le parole con le armi, come nell’allucinazione collettiva che stiamo vivendo.